La grande ascesa degli U2 nell’Olimpo del Rock cominciò dalla gavetta e dal tris di album iniziale: Boy, October e War. Erano dischi dal suono ancora poco levigato, ma con i quali ci si poteva già riscaldare grazie al fuoco dell’inquietudine che ardeva nel petto di quei 4 ragazzi irlandesi. Bono e compagni avevano una grande ambizione, farsi strada fra la miriade di gruppi new wave e post punk che negli anni 80 nascevano come funghi ed evitare di scomparire altrettanto velocemente, nel giro di poco tempo. Smania di successo certo, ma più come conseguenza del genuino desiderio di farsi portavoce di un’intera generazione tramite la propria musica, così carica di riferimenti sociali e religiosi.
I giovani di allora ci si ritrovarono in pieno e in qualche modo gli consegnarono questa responsabilità a livello mondiale con l’uscita nel 1984 di The Unforgettable Fire.
Quarto lavoro in studio, fondamentale per la loro carriera artistica nonché per l’uscita definitiva dal limbo di band di culto in cui, di fatto, erano ancora rintanati. Il titolo si rifà ad una serie di pitture/graffiti giapponesi esposti al Museo della pace di Chicago nel 1983 come testimonianza dello scoppio della bomba di Hiroshima.
Tutto l’album, a detta dello stesso Bono, è di fatto una trasposizione in musica di immagini visionarie, senza tempo, di pace e decadenza, proprio come quella del castello piazzato in copertina. Artefice del suono rinnovato degli U2 fu senza dubbio la coppia formata da Brian Eno (uno che negli anni 70 aveva già fatto la storia con i Roxy Music e collaborato ad album pazzeschi come Heroes di Bowie e altri) e il suo nuovo delfino Daniel Lanois. Tuttavia il loro intervento non fu così “totalizzante” e il gruppo poté esprimersi con la massima libertà e spontaneità.
Pride (in the name of love) è certamente la canzone più importante dell’album, con tutta la sua carica esplosiva di passione per valori universali di pace, fratellanza e uguaglianza incarnati da una persona della statura morale di Martin Luther King, al quale è ispirata. “Un uomo viene nel nome dell’amore, Un uomo viene e se ne va, Un uomo viene per giustificare, Un uomo viene per cambiare le cose”, parole inequivocabili che solo un front-man credibile come Bono poteva cantare con tanta efficacia. Fra i pezzi meno conosciuti, ma altrettanto trascinanti e carichi di adrenalina, c’è Wire nel quale la chitarra di The Edge sforna riff e sfarfallii elettrici a profusione, dando un saggio di quello che era in grado di fare.
A dire il vero The Unforgettable Fire conquista anche per l’atmosfera rarefatta che in esso si respira, in brani più lenti ed affascinanti come l’iniziale A sort of homecoming – nella quale l’amore diventa il ponte che unisce ogni distanza – o l’incantevole Bad che dal vivo darà senza dubbio il meglio di sé negli stadi che il gruppo già all’epoca riempiva senza alcuno sforzo. Al riguardo, riascoltatevi la versione live da brividi di questa canzone registrata nell’EP Wide awake in America e non ve ne pentirete.
La splendida title track non è certo da meno, mentre la chiusura sussurrata di MLK (secondo omaggio al succitato pastore americano) rappresenta il regalo finale e inatteso di un disco che, ancora oggi, almeno ogni tanto, vale ancora la pena riascoltare; se non altro per capire in quale terreno affondino le proprie radici capolavori del calibro di The Joshua Tree e Achtung Baby.
U2 – THE UNFORGETTABLE FIRE
E’ una trasposizione in musica di immagini visionarie, senza tempo, di pace e decadenza