Pop Corn

50 pagine al giorno- Il grembo paterno di Chiara Gamberale

Scritto da Giulia Carlucci

“Perché niente ripara se non ci mette a rischio. Di continuare a indovinare bene, indovinare male. Di inventare la vita.
Imparare l’amore”. Imparare l’amore. Ammalarsi d’amore. Guarire con l’amore.

Adele incontra Nicola. Crede di aver trovato la persona con cui sentirsi intera. È una di quelle persone che “ci bussano al sangue”. Ma Nicola è legato a una donna cui ha due figli, e Adele invece cresce sua figlia Frida da sola.
Eternamente confinata a uno stato adolescenziale dalla vita, un loop da cui le sembra impossibile uscire.
Così quando rientra al paese che le ha dato i natali per il primo lockdown, fa i conti con quell’adolescenza e con il primo amore di ogni donna: suo padre, Rocco.
Un libro che si snoda su una storia d’amore, anche se non capiamo e non ci importa quale sia.
L’amore dato a Nicola e l’amore ricevuto dal padre Rocco si intrecciano. Presente e passato sono binari paralleli su cui percorriamo la storia che la stessa Adele ci racconta.
Anche la Gamberale si mette in ascolto della sua protagonista, e forse un po’ di se stessa. Con un atteggiamento più maturo delle volte precedenti.
Ci sono sensibilità e pudore. C’è soprattutto attenzione. Quella richiesta dalla protagonista. Quella cercata da tutti. L’attenzione. La cura.  Perché siamo ciò che ci è stato dato, ma soprattutto ciò che ci è stato tolto. I figli si confrontano direttamente con i genitori, linee dritte che hanno bisogno di esempi retti, coerenti e chiari.
Ma siamo tutti esseri umani, e spesso siamo rette frammentate, a volte discordanti e dis-coerenti. Le dis-coerenze dei genitori disorientano i figli e ne disturbano l’anima. Fanno capolino così i disordini alimentari, prendono spazio e crescono lasciando segni indelebili. In una costante tensione a riempire vuoti dell’anima con qualcosa di materiale, il cibo, gli oggetti.
Adele era una bambina silenziosa, da adolescente riempie i suoi vuoti di parole e spesso viene zittita dal padre. Quei vuoti restano, per questo ingurgita cibo fino a scoppiare.

“Dentro di me lo lasciavo, ma continuavo comunque ad aspettare. Che mi chiamasse, che mi scrivesse, mi toccasse, mi riempisse. Che m’affamasse”.

Nulla la aiuta, nulla riempie quei vuoti. I vuoti dell’anima non si riempiono così. Possono essere riempiti solo dall’amore. Quella è la cura.
Per capire Adele, dobbiamo tornare a quando era bambina. Il presente è figlio del passato, così anche il soprannome “senzaniente” con cui era stata battezzata la sua famiglia a causa delle modeste condizioni economiche, pesa e si scontra con tutto il talento di cui quella bambina è piena. Come pesa un padre in costante rincorsa di ciò che non riesce ad avere, mai contento di alcun risultato, con un’amante storica e comunque infelice.

“Non è stata la prepotenza del suo amore per me che mi ha costretto a prestarmi a tutti, senza consegnarmi mai a nessuno. Ero io, ero io che volevo galleggiare lì dentro. Nel grembo paterno. A succhiare, mescolato al sangue, l’incantesimo di quel latte […]. A succhiare la sua furia, il suo bisogno di chiedere ancora e ancora, a succhiare l’impossibilità di restare, ma pure quella di andarsene via.E però a farlo da lì dentro”.

Per capire Adele, dobbiamo guardare ciò che ha vissuto. Vedere sua madre che accetta i tradimenti del marito. Infelici. Entrambi.
Dobbiamo vedere e vivere il livore della gente che ha intorno, causato dal “salto sociale” fatto dal padre- prima piccolo bottegaio poi padrone di un supermercato.
Dobbiamo capire che amare è una cosa seria. Creare una famiglia con amore è una responsabilità. Un genere di amore in cui si cumulano sentimenti e bisogni reciproci. Un amore che assorbe. Completamente. Ma non sono gli uomini la chiave. Non è l’amore per Nicola o per suo padre Rocco. Forse più la maternità. Forse quell’ancora di salvezza cui aggrapparsi e il rapporto che costruisce con Frida. E Adele lo sa. Tanto che la cosa che sembra spaventarla di più è la difficoltà di comunicare che ha la bambina.
Così vediamo Adele adulta, che ha fatto di ogni mancanza la propria forza, del proprio disturbo un lavoro, che ha avuto una bambina da sola.
Arriva il primo lockdown e con esso la possibilità di cura. Frida non ha bisogno di cure, se non di amore. L’amore esclusivo di sua madre. Amore che curerà entrambe.
Scopriamo che ciò che ci viene tolto da bambini diviene parametro su cui misuriamo la felicità presente. In una continua rincorsa a ciò che desideriamo e che più è desiderato più sembra sfuggirci.
L’amore ci ammala, l’amore ci cura. La felicità fa lo stesso. Ma perché ? Perché viviamo di relazioni tanto violente quanto dolci?
Chiara Gamberale parla di questo nel suo romanzo.
Già nel titolo scelto abbiamo chiari l’alfa e l’omega della sua storia. Dal grembo materno troviamo la vita, nel grembo paterno troviamo noi stessi, la nostra identità.
Nelle prime pagine una dedica a suo padre “ladro e santo della mia vita”.
Un romanzo d’amore, nel senso più completo. Di persone. Di vita. Una storia sapientemente raccontata con uno sguardo maturo. Una scrittura consapevole, che se si distanzia dai suoi precedenti lavori in realtà ne mostra la vera evoluzione. Il presente è figlio del passato.
E alla fine resta una risposta: con l’amore, nessuno è senza niente.

About the author

Giulia Carlucci

error: Sorry!! This Content is Protected !!

Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. Maggiori Informazioni

Questo sito utilizza cookie, anche di terze parti, per migliorare la tua esperienza e offrire servizi in linea con le tue preferenze. Con questo sito acconsenti all’uso dei cookie, necessari per una migliore navigazione. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie vai su https://www.sound36.com/cookie-policy/

Chiudi