Naja Marie Aidt racconta il suo dolore per la morte del figlio venticinquenne, il più atroce dei dolori e la più grande delle paure.“Ho paura di dimenticarlo. Dimenticare la sensazione del suo corpo, della sua voce, della sua risata. Ho paura che svanisca in me ogni giorno di più. Che svanisca di pari passo con il mio guarire. È insopportabile. E forse è il solo modo che mi permetterà di guarire.”Ci racconta quella notte, esattamente come l’ha vissuta. Le immagini all’inizio sono confuse, poi più nitide mano a mano. All’inizio le parole sono poche, la poetessa sembra inghiottita dalle pagine bianche. Frammentato e confuso il racconto, nella perfetta rappresentazione di cosa sta accadendo nella testa e nel cuore di una madre.“Per me non è possibile scrivere altro che di questo non-tempo. Non mi riesce di vedermi scrivere in futuro. Se prima immaginavo di scrivere di questo e di quello, nel futuro ora tutto tace. Non c’è alcun movimento. C’è solo un silenzio di morte.”
Poi la scrittura cambia forma. Assume il suo ruolo, aiuta l’autrice a esorcizzare il dolore e rendere immortale il ricordo. Tantissimi autori hanno dedicato tempo e parole al dolore per la morte di una persona cara, la Aidt si avvale di quelle parole già scritte. Fa leva su di esse per reagire. Trova in quelle parole il modo per esprimere il proprio dolore quando le sue restano strozzate. La loro voce diventa la sua.
Come si fa ad accettare la morte di qualcuno cui si è data la vita ?
Pagina dopo pagina, i ricordi sono sempre più nitidi, il dolore si fa palpabile e il tentativo di mettere ordine nella disperazione diviene una sorta di viaggio. La Aidt percorre questo viaggio dentro di sé, accetta il dolore e lo attraversa. Fino ad accettare la morte e la vita. Fino a conoscere suo figlio in una nuova luce.
Ogni giorno l’autrice fa i conti con una sofferenza che la strema. Ogni giorno è costretta a vivere, alzarsi e compiere i gesti quotidiani. Gli amici ci sono, la sorreggono, soffrono con lei e per lei. Per la famiglia.
Ogni parola rispecchia le emozioni dell’autrice e se a prima vista può sembrare una raccolta disordinata di pensieri, citazioni, frammenti di poesie e ricordi, poi tutto si ordina. Tutto assume un senso. La pace arriva a mitigare il dolore e l’autrice si riappropria delle sue parole.
“Non credo a nulla, non credo al paradiso, all’inferno, a Dio, guarigione, vite passate, sputo su tutte queste stupide concezioni, non credo all’Ade, alla legge del Karma, alla vita dopo la morte, alla trasmissione dell’anima, sputo su tutto quanto con il più profondo disprezzo, non credo al destino, all’astrologia, al contatto con i morti, ai fantasmi, agli angeli, ci vomito sopra, mi infurio col più profondo disprezzo, dico si fotta questa merda, ci sono solo la vita e la morte, la vita e la morte, credo solo alla delicatezza, quando ci prendiamo cura del corpo morto, siamo costretti a separarcene.”
Chiaro il senso del titolo con cui la Aidt ha consegnato a noi la sua sofferenza. Se la morte ti ha tolto qualcosa, non può togliere il ricordo, non può togliere la consapevolezza, non può togliere la speranza. Sta a noi restituirla. Dar voce e spazio al ricordo.
“Ma le poesie dicono anche di restituire ciò che i morti ci hanno dato quando erano vivi. Che l’essere dei morti, per così dire, può ancora trovare posto nella vita, che l’amore che ci hanno dato può essere ancora donato. Qui risiede una speranza. La speranza che ciò che mi hai dato crescerà in altri, se sarò in grado di condividerlo.”
Un libro carico di amore, dolore e bellezza che distrugge il cuore e lo cura. La parola diviene consapevolezza e speranza. La parola salva, contiene il dolore e lo trasforma in rinascita.
“È una sensazione molto fisica:Lui è dentro di me. È dentro il mio corpo. Porto il suo essere nel mio corpo.Lo porto ancora dentro il mio corpo.Come quando giaceva nel mio utero.Ma ora è la sua vita intera che io porto. Io porto la tua vita intera.”