Recensioni

This Eternal Decay – Silence

Scritto da Carmelo Di Mauro

“affronta il tema della solitudine interiore in un mondo sempre più connesso digitalmente” ma in realtà ad ascoltare i brani viene fuori una ricerca attenta e misurata sulle debolezze dei nostri giorni

Giunge al secondo album la band denominata This Eternal Decay, formata da un trio di vecchie conoscenze della scena rock romana, forgiate da anni di prove ed incisioni che hanno portato alla pubblicazione di questo Silence, nove tracce che rivelano un’ ispirazione solidamente anni ‘80.
Concetto un po’ vago quello di anni ‘80, visto che da un punto di vista musicale e non solo, in quel periodo è accaduto di tutto. I nostri si concentrano, infatti, nel riprendere ed interpretare le sonorità oscure tipiche del pop rock britannico che diedero vita ai movimenti dark e new wave in periodo post punk.
Come l’intero disco, intenso ed oscuro è anche il brano di inizio, intitolato “Future Anthem”.
Ad ascoltare bene la traccia dall’incipit sontuoso, vengono fuori riflessi nemmeno tanto nascosti dei Fields of the Nephilim, tanto nel modo di usare la chitarra per costruire atmosfere a tratti spettrali, quanto nel modo di cantare dall’incedere plumbeo che segnerà l’intero lavoro.
Procede secondo una simile cadenza anche “I want”, brano costruito su un arpeggio tagliente, un giro di basso nervoso e un cantato esasperato che dà voce a sogni non realizzati, rendiconti che non sembrano voler andare in attivo e una angosciata ricerca di luce e bellezza.
È, introdotto, invece, dal una lunga sequenza musicale di impronta quasi post rock il brano “Fade away”, la traccia che sembra offrire un spiraglio e far far passare quel tanto anelato raggio di luce all’interno di un lavoro altrimenti fin troppo monolitico e oscuro. Qui le nubi sembrano diradarsi e il brano assume una struttura più incline al pop.
“I am nothing” è quella traccia che concretizza meglio la dichiarata influenza industrial, anzi, l’incedere del brano è quasi marziale nella sua sessione ritmica, cui si sovrappone un uso distorto delle tastiere in modo quasi techno. È il brano che più richiama le sonorità dei Nine inch nails, con una punta di KMFDM, declinati però con approccio maggiormente contenuto in una rigorosa forma canzone.
In “A secret” c’è un accenno al mondo melodico della new wave, con inaspettati bagliori di chitarra a farsi largo in un cielo meno plumbeo. Qui la batteria assume le sembianze di una drum machine e c’è un interessante arpeggio di chitarra a rendere il brano meritevole di attenzione, diradate le nubi la melodia è più facile da scorgere.
Pregevole il giro di tastiere che apre “Silence”, e che in varie reprise troveremo nello sviluppo del brano. I toni sono tipicamente new wave anni ‘80, ma il ritmo del brano e il suo incedere continuano a non accarezzare nessun facile ascolto. Chitarra, basso e batteria costruiscono un’ulteriore traccia poderosa e dai tratti oscuri, addolcita solo occasionalmente dai cori e da arpeggi che verso la fine del brano osano mettersi in primo piano.
La sequenza di nove tracce si chiude con “Ghost” un brano che a ripetuti ascolti rivela uno sforzo produttivo notevole, fatto di continui cambi di struttura musicale, passando dal sinth pop ai suoni da dancefloor, finendo con tastiere techno già sbucate in altri momenti del disco.
Questo “patchwork” sostiene in maniera credibile una solida melodia, interpretata, anche questa volta con un cantato tendente all’esasperazione.
Come dichiara la band il disco “affronta il tema della solitudine interiore in un mondo sempre più connesso digitalmente” ma in realtà ad ascoltare i brani viene fuori una ricerca attenta e misurata sulle debolezze dei nostri giorni, sull’inquietudine, sulle speranze deluse, sul desiderio di isolarsi di fronte alle pressioni del nostro tempo. Temi complessi, trattati con crudo realismo, che si sintetizzano in titoli che diventano l’attuarsi di un moto interiore, così che “sparire”, “non sono nulla”, “il silenzio”, diventano quasi slogan stampati su una maglietta nera, lisa per i tanti concerti.

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Carmelo Di Mauro

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