Il tentativo d’intercettare la voce o il suono del silenzio (come alcuni del panorama nazionale e internazionale ci invitano a fare) pare una sfida ossimorica finché qualcuno non la accolga come filosofia artistica e forse esistenziale. Pare muoversi su queste frequenze “Spoken Unsaid”, l’ultimo progetto discografico di Herself (al secolo Gioele Valenti) targato Urtovox Records.
Nelle otto pillole di vissuto contenute in quello che si potrebbe definire il concept album della confessione muta, il cantautore sussurra con tocco teneramente graffiante un manifesto rarefatto di limpida comunicazione introspettiva ma pure condivisa che scalda ma non brucia, accoglie ma non soffoca.
È una scossa che attraversa il corpo e sollecita lo spirito, quella grazie alla quale chi ascolta può trovarsi nello stesso istante sulle tracce di un poeta maledetto in un viaggio intorno al mondo o a leccarsi le ferite nell’angolo più buio della propria stanza. Questa ambivalenza tra il caos vitale di una farfalla in volo e la turbolenza apocalittica dall’ombra scheletrica, restituiscono atmosfere in cui l’angoscia più cupa si fa esperienza elettrizzante, in un gioco di polarizzazioni melodiche che invita l’ascoltatore ad abbracciare la liberatoria contraddizione del non detto, del non fatto, del sospeso.
Herself, parcellizza il proprio istinto in micro racconti che pur affondando le radici in un preciso orizzonte di appartenenza, si aprono ad un retroterra plurale, creando interstizi di dissacrante realismo che si accompagnano alla lenta accettazione del sé, dell’esistenza, delle circostanze.
L’impronta folk che permea questo microcosmo musicale contribuisce a renderne il contenuto verace e popolare mai superficiale o populista, in grado cioè di condensare in una manciata di minuti il processo per cui una materia morbida e fluida come la sabbia plasma quanto di più tagliente possa esistere. Incastri di vetro in una dimensione che anela all’arenile, a questo somigliano i brani con cui il cantautore e polistrumentista palermitano condisce il proprio itinerario, interessandosi della consapevolezza acquisita durante il cammino più che della meta finale. Il retrogusto che accompagna l’ascolto è agrodolce ed ha una familiarità con la gabbia a cui non si accetta di cedere, alla rabbia repressa che infetta il globo.
Quando il vissuto personale incarna senza alcuna ambizione di verità incontrovertibile una dimensione trasversale il percorso intimo di un musicista si trasforma (almeno per alcune sensibilità) nel compendio dell’esperienza umana, non diventando per questo univoca ma preservando la dignità di un punto di vista denso. La ricerca di un equilibrio che non rinuncia al tormento e al controsenso assume traccia dopo traccia la forma di un testamento senza destinatari precisi, che in potenza si rivolge a chiunque voglia ritrovare fiato, inchiostro o parola, pur restando nell’ombra ma sapendo di esistere.
Se il linguaggio crea la realtà, con il suo sesto album Herself ci presenta le scorie di un’interazione che muovendosi al confine tra istinto non verbale, para verbale e coscienza melodico-fonetica, mostra come un bruco possa divenire teschio, attraversando la bellezza e la rovinosa caduta nel giro di una vita. Di un istante.
Tracklist-Spoken Unsaid
1 Nostos Algos
2 My Pills
3 San Francisco Bay
4 Soul
5 We Were Friends
6 Disaster Love
7 Sand
8 TVdelica
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