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Quatsch (sognati dal futuro) n. 6

Scritto da Stefania Pucci

Pensavo a quell’involontaria risata che ho colto, a quel movimento sottile che ti ha increspato le labbra, all’improvvisa leggerezza di cui ti sei vestito, felice e incredulo come un bambino nel sentire il suono della sua voce per la prima volta

IN-aBISSO
Prenditi il gusto di crollare
Ho detto queste parole un giorno, seduta sul davanzale di una finestra, le spalle al muro, mentre il giorno lasciava velocemente spazio alla notte.
Pensavo a te in quella frase, pensavo a quell’immensa e dolorosa fragilità esplosa in una delirante confessione notturna, pensavo a quegli occhi che avevo visto perdere il gusto di ridere.
Pensavo a quell’immagine di te che rifiuti di accettare, a quell’uomo così profondamente umano e così intensamente terreno il cui ritratto ho rubato in un pomeriggio casuale, dentro a una casa popolata di ombre, attraverso l’ultimo raggio di sole riflesso da muri scrostati.
Pensavo a quell’involontaria risata che ho colto, a quel movimento sottile che ti ha increspato le labbra, all’improvvisa leggerezza di cui ti sei vestito, felice e incredulo come un bambino nel sentire il suono della sua voce per la prima volta.
Pensavo a quello che non hai detto, alle domande che non ho fatto, alle risposte che non hai dato.
Pensavo al gioco crudele a cui ho sottoposto il tuo corpo, la tua anima, disegnando su di te le mie paure, scrivendo sulla tua pelle le mie infinite ferite, sommando le mie e le tue colpe in un Frankenstein crudele costruito strappando brandelli dei nostri incubi, di quel passato di cui non riesco a liberarmi, di cui non riesci a liberarti.
Pensavo al gioco involontario e crudele che hai condotto con me, guidando il mio sguardo dentro il tuo abisso più profondo, costringendomi a farmene carico, ad essere carnefice e vittima di un dolore da cui non ti puoi liberare, di cui non vuoi liberarti.

Prenditi il gusto di crollare
L’ho fatto, lo hai fatto, ognuno immerso in una resurrezione di atomi casuali, pezzi di noi che si incontrano e si scontrano in una giostra in continuo movimento, che ci costringe a fare i conti con il nostro passato, con quell’età adulta che non volevamo raggiungere, troppo intrappolati nelle nostre eterne adolescenze, ancora troppo figli, ancora troppo bambini per poter essere padri, madri, amici, compagni di strada, amanti.
Ho perduto, hai perduto. Ho abbandonato, hai abbandonato. Ho disegnato intorno a me un confine che non comprende la tua presenza, mi sono costretta a odiarti, ad ignorarti, a negare in silenzio ogni richiesta d’aiuto. Per sopravvivere, per non morire, perché le ferite che mi imbrattano il corpo sono anche le tue, rossi squarci grondanti il sangue dei tuoi lutti, delle tue perdite, della tua disarmata solitudine.

Prenditi il gusto di crollare
Lo hai fatto. E ogni istante perduto, ogni parola sparsa al vento, ogni grido, ogni nota sgraziata, è un coltello che porto nel cuore, che ascolto in lacrime, costretta a un’empatia involontaria e crudele.

Prenditi il gusto di crollare
lo hai fatto. Ti rialzerai un giorno? Nella mia anima esiste un buco, un buco fatto a forma di te, del tuo sarcasmo, della tua inconfessabile tenerezza, della tua divertita follia, del lampo negli occhi che mi illudeva di aver vinto una battaglia. Una battaglia. Non la guerra.

Quatsch n.6, copertina di Stefania Pucci:

– L’illogica logica del nonsense, more nonsense please! di Reddie
– Pain – 180- Vertical Escape. Di Erminio Garotta
– Libro in Cartolina: “Dopo La Pioggia” di Chiara Mezzalama. Di Sylvie Freddi con illustrazione di Caroline Freddi
– Teoremi, ipotesi e dilemmi per scrivere un buon noir. Davvero? Di Massimiliano Bellavista
– Continuamente Cyndi Lauper. Di Sylvie Freddi

About the author

Stefania Pucci

Ho un corpo. Una faccia, due gambe, due braccia, due seni. Ho della pelle, tanta, troppa pelle. Pelle che brucia sotto il dolore, pelle che si squarcia a ogni ferita. Ho delle ferite. Le mie scelte, le scelte di altri mi feriscono. Mi lascio graffiare e ferire. Perchè questo mi rende viva. Imparo dal sangue a scorrere, riverso nel sangue le mie paure. Sono una donna. Sono il mondo. Sono nulla. Sono tutto.

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