Interviste

Der Waldgänger

Scritto da Beatrice Pascali

Una mattinata nel bosco con Alessandro Quarta

Questo termine tedesco intraducibile corrisponde a “colui che cammina nei boschi”
ma molto più indica il vero simbolo dell’uomo spirituale e intimamente connesso con la natura più vera e selvaggia. Non a caso questo termine, titolo di un’opera di Ernst Jünger, viene reso in italiano con “Trattato del Ribelle”.

Ho incontrato Alessandro Quarta al Festival di Tagliacozzo, ove si è esibito nella faggeta più grande d’Europa a 1.400 mt. di altitudine, in quello che sembra l’ambiente perfetto per contenere l’energia della sua musica che gareggia e si abbraccia con quella della natura sovrastante.
L’artista definito musical genius dalla CNN e premiato nel 2017 a Montecitorio come
“Miglior Eccellenza Italiana nel Mondo” per la Musica, manifesta quel quid pluris anche quando non sta suonando: si vede da come si rapporta con il suo violino che con lui sembra formare un tutt’uno.

Insieme all’orchestra da camera Syntagma che lo accompagna – 12 violini, 3 violoncelli e un clavicembalo – ha eseguito brani di Vivaldi e Piazzolla dai suoi ultimi due lavori – “Sixteen Season” e “Alessandro Quarta plays Piazzolla” – nonché virtuosismi suoi peculiari, fino all’ultimo bis tratto dalla Carmen.
Gli confesso subito una mia difficoltà:
Come ti trovi a parlare di musica? Perché sembrerebbe un ossimoro: spesso un musicista suona per evitare di parlare.
Io non parlo mai di musica perché un artista dovrebbe essere già musica. Un artista può e deve rispondere a delle domande a livello stilistico, su come interpreta un brano o qualcos’altro, però in teoria dovrebbe già parlare il suo corpo.

Questa definizione gli si attaglia come un abito sartoriale e rende inutili molte mie domande. In tema di abiti, la sua mìse total white sembra sottolineare la perfetta naturalezza con cui lui e l’orchestra si inseriscono come elementi naturali del bosco in cui ci troviamo. Ma non è una questione di look. Come lui stesso ha detto, lui è quello che ha tolto il frac al violino.
Io non sopporto il frac, non sopporto il vestirsi, il cambiarsi per andare a suonare, quella non è arte per me; l’artista è colui che porta sé stesso sul palco. Poi, naturale, non ci si presenta con un vestito sporco, però il frac non ti fa suonare meglio e il jeans non ti fa suonare peggio.

Fra un brano e l’altro ci ricorda con un sorriso come nel ‘600 nei teatri tutto si andava a fare tranne che ascoltare musica; e cita anche una lettera di Mozart al padre in cui si lamentava di aver dovuto ripetere un’aria perché nessuno prestava attenzione.
Tuttavia nel suo caso mi sembra un’eventualità invero remota. Diciamo per brevità
che se il nostro violinista capitasse davanti al Mar Rosso, questo si aprirebbe come
nel racconto biblico per far passare anche lui. Alessandro è un artista puro, la sua allure arriva prorompente prima ancora che inizi a suonare.
Questa chiacchierata capita nel giorno della morte del nostro divulgatore per
eccellenza, Piero Angela: pensi che la musica abbia bisogno di divulgatori? Tu hai
creato un linguaggio diverso con questo strumento e di sicuro anche rimodernato la sua immagine. Però chi ti definisce violinista rock dà una definizione estremamente riduttiva. Era tua intenzione far avvicinare le persone a questo strumento?
Assolutamente no. Io suono perché faccio ciò che piace a me.
Ed è sempre stato così?
Sì, sempre.

Ha il fuoco negli occhi di chi non ha bisogno di assertività e la luce di chi fa ciò che gli
viene più naturale e non potrebbe fare altrimenti.

Io amo il rock perché il rock è nato nel ‘600, nel Barocco, e nel rock c’è tutto. Il problema nasce da quando si sono volute dare delle etichette – musica classica, musica jazz, eccetera – ma non hanno inventato un bel niente. Il jazz, il rock lo ha inventato Bach nel 600, è inutile cercare di definire quello che uno sta facendo… ma suonate! Suonate quello che vi sentite dentro! Non bisogna trovare divulgatori per parlare di musica, bisogna trovare gli artisti: è questo quello che manca.
Oggi c’è troppo business, troppa immagine, troppi culi di fuori, troppe gambe di
fuori, troppi ragazzi che vengono creati a tavolino, li sbattono in televisione e ne
fanno dei cantanti, anche se non conoscono nemmeno una nota. Io ho suonato con i
più grandi del mondo, da Eric Clapton a B.B.King e molti altri, e alcuni di loro anche
non conoscono le note ma, come diceva Mozart, la musica sta tra le note (1) .
Si avverte
forte e chiara la differenza con chi oggi ha soltanto la voglia di fare soldi, di avere davanti 30-40.000 persone, ragazzi che urlano ma alla fine non c’è niente. Io non
voglio suonare davanti a 40.000 persone, io voglio suonare davanti a 3.000, 4.000
persone, ma che sia gente che impazzisce non per me, ma per la musica.
Poi i testi delle canzoni sono squallide, prima nel rock non c’era questo linguaggio.
Prima il rock portava con sé anche un peso politico, un discorso politico di libertà che
era vero, autentico, e non c’erano parolacce. Io dico sempre che c’è una grande
differenza fra esibirsi ed essere esibizionista, sono due cose completamente diverse. Oggi troppi ragazzi vogliono essere esibizionisti, perché? Perché non hanno palle, conoscenza e cultura per esibirsi, per avere qualcosa da dire.

Manca un messaggio da trasmettere. Forse ormai sono guidati anche a credere che non sia più necessario questo tipo di preparazione o qualcosa da dire…
Ma mi sembra chiaro! Guarda la società che c’è oggi. Quello che noi ascoltiamo, quello che noi mangiamo, quello che noi viviamo, è lo specchio di questa società, la politica è specchio di questa società. La musica ha sempre avuto un grande potere di ribellarsi, di cambiare le cose: guarda il ’68, guarda il rock degli anni ’60, degli anni ’70, che comunque da noi è arrivato sempre dopo, ma ha cambiato le cose. Oggi invece la musica non riesce a cambiare niente.

Alessandro è un fiume in piena, non riesco a dirgli che lui invece sta facendo molto
in questo senso con il messaggio che manda, con le scelte artistiche che fa…

La musica non riesce a cambiare niente perché comunque è un prodotto di questa società, è un prodotto che fa schifo. Gli unici che ancora danno forza sono vecchie
glorie … per esempio, io adoro Vasco, però è preoccupante che un signore di oltre 70 anni ancora vada a prendere 220.000 persone…

Nel senso che non c’è ricambio nel panorama musicale?
Non c’è ricambio, non c’è ricambio. E Vasco è uno che ha sempre scritto per sé stesso. Tutti coloro che fanno arte per sé stessi sono indelebili. Tutti coloro che fanno arte – se di arte si tratta… – tutti coloro che fanno un prodotto per piacere alla società, sono meteore.

Ci spieghi come hai unito dal punto di vista tecnico Paganini, gli Yes e Michael Jackson?
Ma sostanzialmente c’è anche una parte tecnica di arco che ho inventato col violino, molto difficile, ma quello che li unisce è il pop, una delle cose più belle in assoluto, la musica popolare, nel senso di ciò che piace agli altri anche se piace tanto per primo a me stesso; ciò che unisce rimane indelebile. È preoccupante anche il fatto che a oggi nel 2022 si cantino ancora le canzoni degli anni ’60, degli anni ’70 (sempre nel senso del ricambio che manca N.d.R.). Questo cosa ti fa capire? Che c’è povertà di arte, ovunque nella televisione, nelle radio, sui libri… non si legge più, non si va più nei teatri ad ascoltare concerti e non diciamo più che è la paura della pandemia perché non è vero niente, perché se la gente ha paura non va neanche a riempire le piazze, le strade, i ristoranti. Soltanto che non c’è voglia di concentrarsi, non c’è voglia di studiare, non c’è voglia di essere sé stessi.

Manca, direi, la voglia di cercare sé stessi e di conseguenza manca la possibilità che si sviluppi sia un messaggio forte sia quell’urgenza di contenuti che caratterizza il vero artista.

Ormai c’è solo tanta velocità, è tutto su Facebook, tutto su Instagram, facciamo di tutto in 15 secondi, le storie di 15 secondi perché ormai è tutto veloce e in 15 secondi devi fare la tua vita, il tuo concerto, vendere il tuo prodotto. Non serve più nemmeno uscire di casa, vedi una cosa che ti piace, chiami e ti arriva sotto casa: il mangiare te lo portano a casa, i pacchi ti arrivano a casa: allora che esco a fare? La musica te la senti a casa, perché adesso c’è il digitale…che arte si può costruire così? Me la chiami arte questa? Me la chiami vita?

Mi piace come esprime questo binomio potente e inscindibile di arte e vita: mi accorgo che parla con lo stesso vigore con cui suona.

Così come fa a esserci un prodotto di qualità? Io sono fiero di fare concerti qui, sono anche onorato che per la terza volta vengo invitato al Festival di Tagliacozzo dal direttore artistico, Jacopo Sipari da Pescasseroli, che è veramente una persona meravigliosa. Sono onorato di stare qui a Marsia in questa faggeta che è la più grande d’Europa, a me piace fare arte e in questo posto meraviglioso si può fare arte vera.

Tu non hai fatto mai niente per diventare fruibile in modo veloce.
 No.
E nonostante questo arrivi al pubblico con una immediatezza decisamente
travolgente.
Io ti ringrazio di questo. Il giorno in cui cambierà il mio modo di pensare verso la musica allora lascio lo strumento.
No, non lo fare!
Nel momento in cui non mi dovessi divertire più, non amassi più fare quello che voglio, o magari mettessi davanti a ciò che faccio l’imprenditoria, il business, e non ci fosse più il cuore, allora basta, apro un ristorante perché adoro cucinare.
Oggi ci fai sentire brani dai tuoi ultimi lavori (“Sixteen Season” e “Alessandro
Quarta plays Piazzolla – N.d.R.)
L’ultimo disco con le quattro stagioni di Vivaldi sta avendo un successo mondiale incredibile, dopo il disco con i brani di Astor Piazzolla, con Gianna Fratta che dirige, è un disco meraviglioso, sta andando alla grande.
Due parole su Fracanapa di Piazzolla, dove hai dato sonorità ed energia da rendere inutili almeno altri 3 o 4 strumenti…
Fracanapa l’ho rigirato perché Astor Piazzolla l’ha scritto come una ballad.
Questo sì che lo hai fatto diventare un pezzo rock!
È sesso. Solo sesso. 

Come ha ragione…

Il tuo pezzo preferito.
Non ci sono pezzi preferiti.
Autore preferito?
Di musica, Mozart, Bach, Vivaldi e Rachmaninov. E Tchaikovsky. Ah e poi non ho detto il rock!
Almeno uno nominamelo.
Rolling Stones, Beatles, Pink Floyd, ACDC.
Il suo violino, che l’indomani compirà 300 anni, e il bosco lo chiamano e io mi accingo a un’esperienza che mi ha fatto andare dalla Sindrome di Stendhal al delirio mistico…e concludo con Karl Valentin e il suo “Teatro dell’Obbligo” (2) , che se fossimo obbligati ad ascoltare cose di qualità, le cose cambierebbero in fretta e si rinuncerebbe spontaneamente a tanti divertimenti stupidi. Io sarei perciò per “Alessandro
Quarta dell’Obbligo” !

 

1 “Die Musik steckt nicht in den Noten, sondern in der Stille dazwischen.” (la musica non è nelle note, ma nel silenzio fra di esse)
2 Karl Valentin, Il Teatrodell’Obbligo, in “Tingeltangel” (1915)

About the author

Beatrice Pascali

Linguista, traduttrice, criminologa e grafologa giudiziaria; esperta in Psicolinguistica Forense e membro dell’Associazione “A Pista Fredda” della Dott.ssa Roberta Bruzzone per la risoluzione di cold case

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