Interviste

Massimo Baiocco

Scritto da Eva Milan

Il disco è ispirato a un personaggio di Murakami, dal libro “Kafka sulla spiaggia”. Da dove arriva questa ispirazione letteraria?
Devi sapere che con Tiziana, mia moglie, generalmente leggiamo ad alta voce, soprattutto la narrativa. Quando abbiamo letto in questo modo “Kafka sulla spiaggia”, io immaginavo proprio la colonna sonora, le musiche, di quel romanzo. Quel romanzo mi ha colpito tanto, perché è la storia di un adolescente fuori dal comune che fa un percorso sentimentale che lo fa diventare uomo. È qualcuno che cerca qualcosa. È proprio il modo in cui io sento di stare in questo mondo, io cerco qualcosa. Cerco il mio modo di stare al mondo.

Massimo Baiocco, già cantante-chitarrista degli storici Frangar Non Flectar sin dal 1992, compositore e musicista eclettico irriducibile, ideatore di un’infinità di progetti che spaziano dalla musica da camera all’opera post-rock dei Tamurakafka, al coro Polifollia, al Bartok Ensamble fino al suo progetto solista, mi ha raccontato, con il contagioso entusiasmo che sempre lo caratterizza, tutte le sue avventure, le sue fonti d’ispirazione e il senso libertario delle proprie scelte artistiche ed esistenziali, in occasione della ristampa del primo disco omonimo dei Tamurakafka e dei numerosi concerti e situazioni musicali che sta organizzando.

 A dieci anni dall’uscita, il primo disco dei Tamurakafka viene rimasterizzato e ristampato dall’Again Records. Come mai la scelta di lanciare questa ristampa?
Il primo disco di Tamurakafka in realtà non è mai stato stampato col formato cd convenzionale, inizialmente uscì il libro con le fotografie di Roberto Saletti. Ricordo che all’epoca, siccome era il periodo di passaggio sui formati della musica liquida su Internet, mi sono detto: qual è l’unica cosa che probabilmente resterà? La musica scritta. E dunque quello fu un libro di musica scritta, c’erano gli spartiti, le partiture. In seguito ho aggiunto anche il cd con la registrazione.

L’idea di pubblicare le partiture… è una cosa che non fa nessuno. A parte in alcuni generi specifici…
 Sì, io ero proprio mosso dal fatto che i cd non li vuole più nessuno, cominciavano ad esserci i computer che non prevedevano più neanche il lettore cd. Il lettore cd in casa molti non ce l’avevano più, era soltanto musica in Internet. E io non volevo fare soltanto la musica in Internet… In quel momento ho avuto proprio una specie di rifiuto. L’unica cosa che secondo me ha senso è la stampa.

 Stiamo parlando dell’anno…?
Del 2014. Quindi adesso l’etichetta ha deciso di stamparlo proprio come cd convenzionale, uscirà con una copertina, il booklet, eccetera.

Il disco è ispirato a un personaggio di Murakami, dal libro “Kafka sulla spiaggia”. Da dove arriva questa ispirazione letteraria?
Devi sapere che con Tiziana, mia moglie, generalmente leggiamo ad alta voce, soprattutto la narrativa. Quando abbiamo letto in questo modo “Kafka sulla spiaggia”, io immaginavo proprio la colonna sonora, le musiche, di quel romanzo. Quel romanzo mi ha colpito tanto, perché è la storia di un adolescente fuori dal comune che fa un percorso sentimentale che lo fa diventare uomo. È qualcuno che cerca qualcosa. È proprio il modo in cui io sento di stare in questo mondo, io cerco qualcosa. Cerco il mio modo di stare al mondo.

E poi è uscito il secondo album di Tamurakafka, con il titolo “Somni451” ispirato al film Cloud Atlas…
Ho visto prima il film e poi ho letto il libro. Il libro è veramente pazzesco. Somni è un personaggio incredibile nel libro, finalmente si rende conto della sua condizione di schiava un po’ alla volta e comincia ad essere insofferente a questa condizione di schiavitù. Nel libro è molto più consapevole e lo è anche del fatto che la Resistenza sta sfruttando in quel momento la sua immagine per la sua battaglia. Ma lei accetta comunque questa cosa perché sente la forza del cambiamento in sé. In tutte le storie raccontate dal libro su diversi piani c’è sempre questo confronto con il potere, un potere coercitivo che si fonda sullo sfruttamento di tutti gli esseri, non solo degli esseri umani ma di tutti gli esseri a vantaggio del profitto. In tutto il libro ci sono dei personaggi che in qualche modo si ribellano.

Il disco quindi è ispirato a questo concetto di ribellione.
Per me la ribellione artistica è l’idea di non lasciarsi mai schiacciare in qualcosa di già pronto. È semplicemente avere l’idea che il mondo non è già fatto e che solo noi possiamo scrivere la nostra vita. Quel disco in particolare è permeato da quest’idea, esplicitata in molti dei racconti scritti da Caterpillar appositamente per il disco. La molla di partenza era: il mondo non è già scritto. E non dobbiamo omologarci al modo di vivere che ci viene dato. Ma soprattutto artisticamente non dobbiamo farlo, dobbiamo sempre rompere gli schemi, soprattutto dentro di noi.

Con Tamurkafka sei passato dal post-punk degli anni ’90 dei Frangar Non Flectar a suoni più  sperimentali, dalla musica da camera al cantautorato post-rock, suoni e atmosfere che sono confluiti poi ancor più nettamente nel tuo progetto solista, “Virginia Brahms”, dove però non mancano i riferimenti al tuo background anni ’80 e ‘90.
Mi porto tutto dentro. Io per tanti anni sono andato un po’ a compartimenti stagni, è una logica che alla fine ci portiamo dentro. Ci hanno abituato alla logica della separazione negli scaffali dei supermercati. Per cui in un reparto trovi una cosa, in un altro reparto trovi un’altra cosa, ma quella è la classificazione che il sistema fa per rendere facile la vendita di un prodotto. E noi ci siamo abituati così anche con la musica, alla scaffalatura del genere musicale, che poi diventa una scaffalatura interiore. A un certo punto, da musicista realizzi che questa scaffalatura dentro non ce l’hai, perché per me è tutta musica e quindi veramente io dentro di me non riesco a fare differenza tra quella che viene chiamata la musica colta e la musica leggera perché le due cose si mescolano.

“Virginia Brahms” è uscito con SubTerra Label, storica etichetta Creative Commons… scritto e registrato e pubblicato durante gli anni della pandemia.
Sì, il disco è uscito nel 2023 con SubTerra, con cui negli anni abbiamo fatto insieme le battaglie per il Creative Commons e LiberalArte…

Cosa hai sentito di voler esprimere urgentemente in quel frangente, con “Virginia Brahms”?
in quei giorni avevamo appena deciso con Tiziana (Franceschini, ndr) di fare il documentario dedicato al periodo delle restrizioni. L’idea era quella di testimoniare un modo diverso di affrontare le cose e anche di protestare di fronte a certe coercizioni. In quel periodo c’era la protesta sul Green Pass, non si poteva entrare a teatro, dunque c’era chi chiedeva “restituitemi il teatro”. Noi invece abbiamo detto: non posso entrare a teatro, il teatro me lo faccio io. Con tanti artisti ci siamo riorganizzati e abbiamo fatto comunque le nostre cose. E questo abbiamo sentito il bisogno di testimoniarlo in quei giorni in cui io cercavo la musica per raccontare tutta questa storia. Quando ho cominciato a scrivere “Virginia Brahms”, stavo provando a scrivere un disco rock partendo dalla scrittura e questo processo è durato 15 giorni. Poi mi sono fermato ed il disco era finito. Nel frattempo avevo coinvolto Tiziana, le ho detto: “alcuni testi scrivili tu perché io ho un sacco di musica da scrivere.”

Il disco oltre a una voce dissidente contiene anche una forte introspezione in cui si cerca di affermare il proprio percorso, le proprie scelte, rispetto a una crisi…
Scrivere il disco per me è stato un momento molto bello, magico per certi aspetti, qualcosa che ha cambiato la dimensione che avevo intorno, da un momento all’altro, perché è una cosa che mi porto dentro dall’infanzia: quando ho passato crisi forti mi sono sempre detto, “Ok, passerà. Però devo usarla questa crisi in qualche modo. Mi deve portare da qualche parte”.

Ho visto che adesso sei coinvolto con il KAI, Kollettivo Artisti Indipendenti. 
Il manifesto del KAI nasce da un forte bisogno di opporsi all’egemonia dell’algoritmo e di muoversi finalmente vedendosi di persona e di non subire la conseguenza più pesante del periodo di isolamento sociale, che è stata quella di averci portati tutti dentro al virtuale. Una delle prime risposte che uno può dare è: ok, vediamoci. Questo è uno dei motivi per cui nasce un’esigenza: ricominciamo a fare cose nei posti reali con persone e rapporti reali.

Puoi spiegare cos’è il KAI?
è un collettivo di artisti indipendenti, un luogo abbastanza anarchico in cui le idee viaggiano, ci si incontra più o meno una volta al mese per dirci qual è lo stato delle cose che stiamo facendo, e soprattutto per poter avere degli scambi artistici. Parlare, che è una cosa che non bisogna perdere. Poi stiamo anche auto-organizzando concerti, io sto organizzando concerti al Bard House di Calcata, altri hanno organizzato all’Init… ma non è un’agenzia di booking, nulla di tutto ciò. Abbiamo voglia per prima cosa di confrontarci tra di noi, su un terreno comune di idee artistiche ma anche politiche, sociali.

Secondo te c’è ancora spazio per le scelte “militanti”, sia sul terreno del potenziale pubblico che sulla possibilità di scardinare qualcosa o di creare controcultura?
Io non lo so se si può scardinare qualche cosa, sinceramente. Quello che so è che per me è la sola scelta, non vedo altre scelte dentro di me. Però, è perché evidentemente dentro di noi abbiamo già scardinato qualche cosa e l’abbiamo fatto perché queste scelte esistono.

Esistono perché in qualche modo le abbiamo create.
Certo. E la risposta è sì, perché abbiamo già scardinato dentro di noi qualche cosa. Un po’ alla volta come ti dicevo all’inizio abbiamo già descolarizzato dei percorsi che altrimenti sono standardizzati.

A proposito di descolarizzare, tra le tante cose che stai facendo, c’è anche un tuo programma radiofonico, “Il Resto è Caos”, su Radio Underground Italia. Una nuova avventura.
Sì, è fantastico. in questa radio si passa soltanto musica italiana, musica chiaramente non mainstream, e quindi è anche un lavoro di ricerca che devi fare. Fondamentalmente invito gli amici artisti, musicisti e anche poeti e scrittori a raccontarmi di sé. Ci facciamo due ore di chiacchiere, ascoltiamo musica, mi faccio raccontare tutto attraverso i brani che scelgono e mi sono accorto che in realtà abbiamo tutti in qualche modo un background comune anche nella musica italiana, che si è creato anche un modo di fare il rock, il punk, che è locale.

Nel frattempo, sia con Tamurakafka che con l’altro tuo progetto di ben diciotto elementi con musiche da te composte, il Bartok Ensemble, state facendo concerti.
Con Bartok Ensemble abbiamo già fatto un concerto all’Auditorium di una scuola di musica in cui io lavoro che si chiama “Scuola musica in corso”, poi suoneremo a Calcata, a Sacrofano e a Roma al Cantiere. Con Tamurakafka siamo tornati alla prima formazione, stiamo facendo concerti e stiamo portando in giro soprattutto i brani del primo disco, in occasione della ristampa.

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Eva Milan

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