Intorno alla metà del 1500, nella città di Napoli cominciò ad affermarsi un tipo di canto profano detto Villanella o Villanesca. I propositori e diffusori di questo nuovo genere canoro furono dei musicisti ambulanti che si esibivano in piazza Castello, allo scoglio di S. Leonardo a Chiaia e nelle taverne della città, dove probabilmente ricevevano anche compensi in cibarie e vino.
Costoro erano veri e propri cantautori ante litteram che componevano musica e testi delle villanelle che cantavano e che accompagnavano con strumenti a corde come l’arpa portatile, il colascione o calascione, una sorta di liuto a manico lungo con tre corde e probabilmente, i più esperti usavano anche liuti rinascimentali.
Tra i più noti compositori di villanelle possiamo citare Gian Domenico da Nola, Gian Leonardo Primavera detto Dell’Arpa, Giovanni Tommaso Di Maio e un tale dal curioso nome o soprannome di Sbruffapappa.
Il contenuto di questi canti era principalmente di carattere amoroso; dove l’amante esprimeva con forza e passione i propri sentimenti verso l’amata. Ma vi erano anche passaggi ironici o sarcastici nei confronti delle ritrosie femminili.
La locuzione a volte usata come incipit di alcune villanelle era “Vurria addeventare…” “Vurria ca fosse…” a sottolineare immediatamente la completa devozione dell’innamorato, disposto a farsi ciabatta pur di stare ai piedi dell’amata o a farsi gazza o pianta di cedro per poter stare sul davanzale della sua finestra. Vi era inoltre una buona dose di lamentazione e rimprovero nei confronti dell’indifferenza o ritrosia della fanciulla in questione (Madonna tu mi fai lo scurucciato…/Ahimè, ahimè, ch’io moro penzann’ a te…/Si te crediss’ dareme martiell’ e c’aggia filatiell’ …….va! figlia mia, va! Figlia mia ca Marz’ te n’ha raso/ traduzioni: Madonna tu mi rivolgi il viso corrucciato…/Ahimè, ahimè, io muoio pensando a te…/Qualora tu credessi di martellarmi e darmi filo da torcere, ti sbagli. Vattene cara mia perché è finita).
Non si può non sottolineare che i testi delle villanelle abbiano spesso una notevole caratura poetica, sia nel contenuto che nella metrica dei versi e, inoltre, come risultino articolate e complesse sia le strutture armoniche che le belle melodie.
Tutte queste qualità musicali e poetiche fecero sì che le villanelle da musiche di strada diventassero, nei decenni successivi al secolo XVI, musiche di corte. Infatti, a cominciare dalla corte napoletana, esse, man mano, si diffusero in molte corti europee, ricevendo grandi apprezzamenti da parte dei vari regnanti e membri delle nobiltà.
Ma questo successo nelle “ alte sfere” europee, determinò una notevole trasformazione della Villanella. Questo genere musicale e canoro che possiamo definire popolare a pieno titolo perché dei popolani l’inventarono e il popolo napoletano lo fece talmente proprio da farlo arrivare alle orecchie dei regnanti, divenne “bottino” di musicisti di corte e cantanti professionisti. La forma della villanella divenne più aulica e leziosa, l’interpretazione belcantistica e teatrale poiché doveva dilettare le raffinate e nobili orecchie dei cicisbei delle corti europee.
Nel terminare questa breve riflessione sulla villanella, in qualità di cultore ed esecutore di questi canti, mi preme sottolineare l’enorme contributo dato dal maestro Roberto De Simone al recupero e riproposizione di tale genere, all’interno della sua opera complessiva di ricerca e studio sulle tradizioni, i canti e le danze della Campania. Tutti quelli che come me amano la musica popolare tradizionale, non smetteranno mai di ringraziare questo grande maestro.
Cfr: CD “Villanelle e canti d’amore” Eseguiti da Giulio Faillaci. Prima strofa dei brani n. 8, 10,11