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50 pagine al giorno- Tutta la vita che resta di Roberta Recchia

Scritto da Giulia Carlucci

Cosa accade quando un evento ci spezza? Viviamo nel ricordo della vita di prima, ma esiste una vita che resta?

“Credi che un giorno ci lasceremo il dolore alle spalle senza più avere dubbi? Arriverà mai il momento in cui sapremo che tutta l’ingiustizia, la sofferenza, non sono state che un insignificante granello nel perfetto equilibrio delle cose?”

Roberta Recchia nel suo romanzo d’esordio ci racconta una storia familiare, che partendo dagli anni ‘50 arriva a spezzarsi una sera dell’estate del 1980.  È la storia della famiglia Balestrieri prima, poi di quella degli Ansaldo. Il racconto di come Marisa Balestrieri si sia innamorata di Stelvio Ansaldo e con lui abbia costruito un’esistenza serena fino a quella tragica notte d’estate del 1980, in cui la violenta perdita della figlia adolescente Betta segna per sempre la fine della vita di prima.
Dopo la morte di Betta viviamo con Marisa il suo dolore, il vuoto che purtroppo ci riempie e circonda dopo un lutto. La immaginiamo vagare in quel vuoto emotivo, e nelle stanze del ricordo ma soprattutto riusciamo a percepire il continuo pulsare della vita che resta, l’incessante scorrere delle cose che non si ferma neanche davanti alla tragedia.
Ogni personaggio del romanzo ha una vita spezzata da un trauma, ma gli eventi che si ripetono in un eterno ritorno ci parlano anche di fortuiti incontri e inaspettate ricostruzioni.
Diverse sono le storie dei nostri personaggi, legate abilmente dal filo narrativo ed emotivo che ha i tratti del noir. La passione per il cinema dell’autrice è evidente in moltissime sequenze del romanzo, in cui ogni storia si lega alle altre con la scorrevolezza di un film decisamente ben montato.
Il dolore che ci racconta l’autrice non è solo quello di Marisa e Stelvio che perdono la figlia sedicenne, brutalmente violentata e uccisa, ma anche quello di Miriam, la nipote: testimone silenziosa della tragedia, violata anche lei, alla quale tocca il pesantissimo destino della sopravvissuta. 
Sul proprio corpo, ferito, Miriam vive nel più assoluto silenzio, alla ricerca del Nulla. Attraverso gli psicofarmaci insegue il sonno, perché la mancanza di coscienza e l’oblio che ne derivano sono l’unico luogo in cui sente di poter esistere. È con l’immagine di quel corpo consumato che veniamo realmente a contatto con il dolore della perdita dell’altro e di sé.
Ma la vita che resta esiste e sceglie di emergere dirompente spinta dalla speranza.
Così Miriam si riappropria di sé grazie a Leo, un ragazzo che seppure all’apparenza sia distante dal suo mondo e non abbia molto da offrirle, le mostra come l’amore, la cura e la verità possano accendere una luce nuova. Marisa d’altro canto trova la fiducia nella vita che resta grazie all’amicizia con Suor Bertilla e poi nel legame con Corallina, alias Pietro, fratello transessuale di Leo.
Un romanzo familiare ma anche un noir, in cui la violenza e narrata con tinte forti ed efficaci. Un racconto corale in cui ad accendere la speranza sono i legami e non solo quelli di sangue. Una storia potente che parla di emarginazione, violenza fisica e psicologica senza risparmiarne o nasconderne i dettagli più veri.
Tutta la vita che resta è anche una storia di amore e di famiglia. In cui la trama familiare è tessuta da legami che a volte si spezzano ma che vengono ricuciti con l’amore e la luce di speranza che questo sa accendere. È una storia commovente, intima, corale, universale. Un meraviglioso mosaico emotivo, di tristezza e buio, luce e speranza in cui l’amore e la potenza dei legami sono il collante.
Roberta Recchia ci racconta il lutto, la vergogna, la resilienza e ci offre una nuova visione del dolore come catalizzatore del cambiamento e della speranza.
“È difficile ma ho bisogno di credere che tutto quello che è stato ci sia un senso che ora non possiamo comprendere. Che un giorno tutto sarà chiaro, che quanto è stato non è che il dettaglio di un disegno che ancora non abbiamo occhi per vedere”.

 

 

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Giulia Carlucci

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