di Gianni Blasio
«II ragtime […] si ritrova nel modo di parlare dei neri, nel ritmo sincopato dello spiritual urlato. Lo si ritrova nella canzone nera e nel jazz nero. È un’espressione della razza ad un punto tale che si può dire che il ritmo di ragtime informi tutta l’attività del nero, sia che lavori, sia che si diverta». Questo brano e tratto dal volume di Rudy Blesh e Harriet Janis, “They all played ragtime“, che, pubblicato nel 1950, costituì la prima importante tappa editoriale nella storia di questo genere musicale. Non si può certo dire che intorno a questa musica sincopata che, in un certo senso, fu la colonna sonora dei «Gay Nineties», i felici anni ’90 della storia degli Stati Uniti, si sia determinato quell’interesse storiografico e musicologico che il fenomeno avrebbe meritato. In Europa, ad esempio, non c’è mai stato uno studio sistematico sul ragtime che si sia tradotto in una pubblicazione di qualche rilevanza.
Quindi «Il Ragtime – Storia di quel ritmo sincopato antenato del jazz» (Logisma Editore, Firenze 2024, pagg. 268, €. 26,00) di Gildo De Stefano viene a colmare una lacuna importante, costituendo il primo lavoro italiano ed europeo compiuto sulle origini e la tecnica di questo genere musicale attraverso un’analisi del lavoro dei maggiori esponenti – esecutori e compositori – di ragtime.
Uno dei problemi fondamentali che De Stefano affronta, cogliendo un nodo centrale, è il rapporto tra il ragtime e il jazz. In effetti, secondo l’autore, «si potrebbe formulare l’ipotesi che lo stile vocale dei cosiddetti work-songs abbia influenzzato tutta la musica nera e, quindi, anche il ragtime». Quindi esisterebbe una radice comune, anche se poi il ragtime si differenzierà nello stile e nei modi della produzione musicale, fino ad autodefinirsi con il grande Scott Joplin come un genere «classico». Nel capitolo dedicato al compositore di Texarkana, la descrizione del contesto «di frontiera» nel quale si sviluppò il ragtime riesce a fornire un quadro chiaro della trasformazione dello statuto dei musicisti afroamericani, che passano agli inizi del ‘900 da una condizione di «travelin musicians» (musicisti girovaghi) a una condizione diversa legata all’avvento dell’industria che inquadra la musica «come una comodità che è prodotta, pubblicizzata, acquistata e venduta come qualsiasi altro prodotto», e la distribuisce con i mezzi della nuova tecnologia.
Le invenzioni dell’età industriale fornirono i mezzi di diffusione del ragtime e, viceversa, il ragtime agì da carburante ai bisogni delle invenzioni, scritto per pianoforte, il ragtime dette un grande impulso alla vendita di partiture musicali, mentre i rags per banjo furono tra le prime musiche ad essere registrate e incise.
Dopo un lungo periodo, durante il quale di questo genere musicale non si era sentito parlare, negli anni Settanta prende I’avvio un vero e proprio revival del ragtime, iniziato dalla scelta del rag «The Entertainer» di Scott Joplin come brano principale della colonna sonora del film «La Stangata». Da allora il ragtime è tornato ad occupare un posto importante e iI libro di Gildo De Stefano testimonia di questo rinnovato interesse, anche con la prestigiosa prefazione del grande poeta afroamericano Amiri Baraka (Leroi Jones) e la postfazione di Renzo Arbore.