Cosi inizia l’apertura del primo disco ufficiale degli Skiantos datato 1978, con vinile giallo color vomito. Il gergo giovanile degli anni ’70. Possiamo fare dei paragoni con la nuova era del 2000?
Negli anni ’70, il modo di parlare dei giovani rifletteva un mondo profondamente diverso da quello odierno. Era un’epoca caratterizzata da una forte ribellione e dalla voglia di esprimersi senza filtri. Frasi come “…Ma che cazzo me ne frega” erano dichiarazioni di indipendenza linguistica, emblematiche di un atteggiamento che sfidava le convenzioni sociali e le norme stabilite. Questo linguaggio era influenzato dalla musica punk, dalle proteste sociali e da un generale spirito di anarchia giovanile. I giovani dell’epoca utilizzavano parole forti e dirette per manifestare la loro indifferenza verso le regole imposte dalla società, creando un’identità distintiva e ribelle.
Oggi, invece, viviamo in un’epoca in cui la comunicazione è dominata da Internet, social media e tecnologia avanzata. Il linguaggio giovanile è diventato incredibilmente vario e rapido, evolvendosi per adattarsi alla velocità della tecnologia. I giovani usano meme, abbreviazioni come “LOL” o “OMG”, e un’infinità di emoji e sticker nei loro messaggi su piattaforme come WhatsApp e Instagram. Questa nuova forma di comunicazione riflette un mix di influenze globali, creando uno stile unico che trascende le barriere linguistiche e culturali.
Nonostante le differenze, c’è un filo conduttore che unisce le generazioni: il desiderio di distinguersi dai predecessori e di esprimere autenticamente il proprio punto di vista sul mondo. Negli anni ’70, i giovani facevano sentire la loro voce attraverso concerti, graffiti e manifestazioni di piazza. Oggi, questa espressione avviene anche attraverso schermi e tastiere, ma il cuore del messaggio rimane lo stesso. I giovani continuano a cercare modi creativi per comunicare, utilizzando gli strumenti a loro disposizione per affermare la loro identità e ribellarsi alle norme.
Non è un caso che proprio gran parte del pubblico degli Skiantos sia formato da ragazzi nati in questo secolo, ma che continuano a sentire come propri e a cantare a squarciagola tutti gli ‘1,2,6,9’ che noi negli anni 70 avevamo lanciato.
Le provocazioni degli Skiantos erano un pensiero “notturno e politico” o un senso di nausea verso l’Italia di quel periodo di caos, chiedendo “aiuto” ai ribelli di allora, usando lo stesso linguaggio
Credo che gli Skiantos siano stati dei veri pionieri, non solo nel rock (punk rock?), ma anche e soprattutto nella straordinaria capacità di sorprendere e provocare. La loro ironia, elemento fondamentale della loro provocazione, serviva a confondere le acque e a destabilizzare le certezze del pubblico. Prendere e prendersi in giro era il modo per scuotere le coscienze, abbattere le convenzioni sociali e sfidare il potere costituito.
In un’Italia dove infuriavano le lotte studentesche e la contrapposizione generazionale era particolarmente intensa, gli Skiantos si collocavano in quella zona di resistenza dove “una risata vi seppellirà”. Brani come “Brucia le banche, bruciane tante” e “I gelati sono buoni ma costano milioni”, insieme agli atti iconoclasti durante i concerti, come il lancio di verdura al pubblico o gli spaghetti del Bologna Rock, erano modi originali e dissacranti per rompere tutti gli schemi e le convenzioni.
Ma oltre alla critica sociale, c’era anche una forte autoironia, che li distingueva dal movimento di cui facevano parte. Ricordo il concerto alla Palazzina Liberty a Milano, dove girava la voce che gli Autonomi con i loro eskimo sarebbero venuti a sentire il concerto e a giudicare “Io sono un autonomo”.
Ma del resto, il retro di quel brano, “Karabigniere blues”, dice tutto su come l’ironia a tutto tondo fosse un aspetto integrale degli Skiantos.
Il termine “notturno” non mi piace per descriverli, perché non c’era nulla di intimista o calcolato in quello che facevamo. Eravamo ragazzi immersi in un’atmosfera cupa, ma al contempo eravamo positivi e pieni di energia. La nostra era una voglia irrefrenabile di stravolgere, cambiare le regole e stupire, e credo che, in qualche modo, siamo riusciti a cambiare un po’ le cose.
Credo che con la nostra miscela di ironia, provocazione e creatività, abbiamo lasciato un segno indelebile nel panorama musicale italiano. Abbiamo dimostrato che attraverso l’umorismo e la satira si possono affrontare temi seri e scottanti, offrendo una nuova prospettiva e stimolando una riflessione critica. La nostra eredità risiede nella capacità di rompere gli schemi convenzionali e di ispirare le nuove generazioni a pensare fuori dagli schemi e a sfidare le norme sociali con intelligenza e spirito critico.
Nel 1978 diventaste grandi, passando alla Cramps Records un’etichetta molto importante di allora, diventando così un portavoce importante della ribellione giovanile. Ma dentro cosa era cambiato effettivamente? Mi spiego; la vostra demenzialità c’era ancora?
Il passaggio alla Cramps rappresentò un notevole salto di qualità per gli Skiantos. Il gruppo, che in un batter d’occhio era passato dalle cantine al palco del Bologna Rock, fece il grande salto entrando nel business discografico di alto livello. Questa transizione ci offrì una straordinaria opportunità per portare la nostra ‘storia’ a un pubblico molto più vasto.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non abbiamo subito alcuna pressione dalla Cramps. L’etichetta, nota per promuovere progetti alternativi e non mainstream come gli Area, ci lasciò piena libertà creativa. Non ci imposero veti né cercarono di indirizzare il nostro progetto. Al contrario, si prodigarono per supportare le nostre idee, che in quel periodo erano numerosissime. Per esempio, le copertine degli album erano realizzate interamente da noi, con la Cramps che si limitava a impaginarle. Anche le pubblicità sulle riviste specializzate erano opera nostra. In sostanza, avevamo il controllo su quasi tutto.
Il salto di qualità fu molto positivo. Ci permise di uscire da una realtà importante ma provinciale come quella bolognese, e di raggiungere un pubblico nazionale. La nostra demenzialità rimase intatta, anzi, si arricchì grazie alla possibilità di utilizzare i nuovi media come discografia e televisione. Questi strumenti ci permisero di fissare il nostro messaggio nella storia della musica italiana.
Per fare qualche esempio concreto, in “Mono Tono” la produzione artistica fu affidata a Paolo Tofani, chitarrista degli Area. Egli, con grande intelligenza, ci lasciò suonare senza interventi esterni, permettendoci di esprimere ogni singola nota dell’album. Le famose vocine, diventate un nostro marchio di fabbrica, nacquero spontaneamente durante le registrazioni, aggiungendo quella piccola, ma grande, provocazione linguistica al sound fresco e potente del disco.
Un’altra esperienza che ci diede grande visibilità fu la partecipazione a “L’Altra Domenica” di Renzo Arbore. Nel servizio presentato da Annalisa Annichiarico, la regia di Maurizio Nichetti riuscì a catturare perfettamente lo spirito e la demenzialità degli Skiantos, permettendoci di farci conoscere a livello televisivo nazionale grazie alla nostra spontaneità.
Un momento cruciale per la nostra consacrazione culturale fu il concerto a Milano in memoria di Demetrio Stratos. Durante questo evento, leggemmo poesie demenziali, dimostrando che anche il nostro stile irriverente poteva trovare spazio in un contesto di grande rispetto per la musica italiana. Essere tra i grandi della musica per onorare un talento come Stratos fu per noi un riconoscimento fondamentale.
In conclusione, il passaggio alla Cramps non solo ci ha dato una maggiore visibilità e libertà creativa, ma ci ha anche permesso di consolidare il nostro ruolo nella storia della musica italiana, arricchendo la nostra demenzialità con nuovi strumenti e raggiungendo un pubblico più ampio e diversificato.
Bologna Rock! Ho adorato quel vostro momento con la cucina sul palco invece di suonare!! Epico e dissonante, una vera presa in giro del mondo. L’ho letta come un finale a sorpresa della vostra esperienza musicale…o no?
Il concerto del Bologna Rock fu un’esperienza davvero incredibile. Vorrei sottolineare che il Bologna Rock non era un concerto esclusivo degli Skiantos, ma una manifestazione in cui si esibivano tutti i gruppi della scena underground bolognese di quel periodo. L’evento si tenne al Palasport, che non era certo un centro sociale (all’epoca ce n’erano pochi o nessuno), e il fatto di aver riempito completamente il palazzo dello sport con gruppi provenienti dalle cantine fu qualcosa di straordinario. Più di 6000 spettatori parteciparono a quell’evento storico.
Gli Skiantos erano sicuramente il gruppo più atteso e la nostra performance con gli spaghetti fu sicuramente spiazzante. Quel gran finale epico e dissonante incarnava perfettamente lo spirito provocatorio della band. Considero quell’evento come il gran finale del primo capitolo della nostra storia.
All’epoca non c’erano i social media né Internet. Per farci pubblicità, usavamo metodi molto più rudimentali: scrivevamo “Skiantos” con il pennarello a tutte le fermate degli autobus e in molti altri luoghi della città. Bologna era piena del nostro nome, possiamo dire che fummo i primi graffittari, e oggi potremmo definire quella strategia una grande campagna pubblicitaria. C’era grande attesa per il nostro spettacolo e, come da copione, riuscimmo a sorprendere tutti cucinando spaghetti sul palco. Che poesia!
Da quel momento, iniziò una nuova fase per noi. Come già menzionato, firmammo con la Cramps e pubblicammo il nostro primo disco. Questo segnò l’inizio di un nuovo capitolo della nostra carriera, portandoci a un pubblico ancora più vasto e consolidando il nostro posto nella storia della musica italiana.
Il Bologna Rock rappresentò una pietra miliare, non solo per noi, ma per tutta la scena musicale alternativa italiana. Fu un evento che dimostrò il potenziale della musica underground e la sua capacità di attirare un vasto pubblico. La nostra esibizione, con la sua irriverenza e originalità, rimase impressa nella memoria di tutti i presenti, diventando un simbolo dello spirito innovativo e provocatorio degli Skiantos.
Nel 1980 andaste a San Remo. Perchè? Da li cambiarono molte cose se ben ricordo
San Remo fu una decisione strana e forse un po’ sofferta. All’epoca, il Festival non era come quello di oggi, dove anche le band più trasgressive vogliono partecipare. Oggi, dissacrare e essere politicamente scorretti fa parte del gioco e dello spettacolo. Ma allora, San Remo era il Festival della canzone italiana per eccellenza, simbolo del mainstream, delle canzoni d’amore, e della completa assenza di politica.
Come al solito, la nostra partecipazione fu una provocazione. Volevamo (e dovevamo) rifarci una reputazione. Da qui nacque lo slogan “Gli Skiantos hanno imparato a suonare”, accompagnato dalla copertina di “Kinotto” che ci ritraeva tutti in giacca e cravatta. Insomma, gli Skiantos si erano trasformati in bravi ragazzi, almeno in apparenza. Certo, presentarsi a San Remo con un brano intitolato “Fagioli” era di per sé una sfida al conformismo del Festival.
Eravamo a un bivio: da una parte, il management voleva farci fare un ulteriore salto di qualità, dall’altra parte, noi dovevamo confrontarci con la nostra vera natura. Volevamo essere rock star, ma i tempi stavano cambiando, e non eravamo certo la band impomatata in stile Duran Duran, tipica degli anni ’80.
Poi arrivarono le sostanze, che portarono a un rapido declino. Tutto improvvisamente si ruppe e arrivò la nebbia. Freak uscì dal gruppo, seguito da Jimmy Bellafronte, e tutto lentamente si spense.
Direi che gli Skiantos, come li conoscevamo, finirono lì. È vero che dopo ci furono altre esperienze e momenti importanti, ma qui si chiude il primo capitolo della nostra storia.
San Remo rappresentò un tentativo di navigare tra l’identità ribelle degli Skiantos e le opportunità offerte dal mainstream. Fu un’esperienza che evidenziò le tensioni tra il desiderio di restare fedeli alle nostre radici ribelli e la tentazione di abbracciare un pubblico più vasto.
Il rock demenziale è esistito veramente secondo te? Per come vi ho conosciuti, eravate una forma di “rock avanti” , nel tempo, copiati da molti. Trovo più “demenziale” alcune cose della musica di oggi. Non so come la vivi!
Sì, il rock demenziale è esistito e ha avuto un impatto significativo (scherzo, ha fatto anche molti danni!). Già si intravedevano segni di questa rivoluzione in episodi come “Pollution” di Battiato o nelle canzoni di Rino Gaetano, dove il linguaggio e la musica erano profondamente diversi da ciò che si ascoltava in quel periodo. Mentre da un lato avevamo i suoni barocchi della Premiata Forneria Marconi o del Banco del Mutuo Soccorso e la musica cantautorale di artisti come Dalla, De Gregori, Guccini e Venditti, dall’altro c’era un bisogno crescente di nuove forme espressive, nuovi slogan, nuovi riff, che rispecchiassero le turbolenze sociali e culturali degli anni ’70.
Il 1977, con tutte le sue manifestazioni, richiedeva una colonna sonora che fosse semplice, aggressiva, e con testi forti e diretti, simili agli slogan delle proteste studentesche. Il rock era la musica perfetta per questo ruolo. Canzoni d’amore tradizionali non erano più sufficienti. Gli Area, in parte, avevano già intuito questo cambiamento, ma forse il loro stile era troppo legato al jazz per raggiungere un pubblico più vasto.
Il linguaggio demenziale rappresentò una vera e propria rivoluzione. Con le sue rime baciate e testi che erano slogan, immagini e flash che stimolavano la riflessione, il rock demenziale riuscì a veicolare messaggi potenti attraverso ritmi semplici e melodie rock. Nonostante qualcuno le definisca “canzonette”, queste erano tutt’altro che banali.
Senza gli Skiantos, il panorama musicale italiano sarebbe stato molto diverso. Artisti come Vasco Rossi, Elio e le Storie Tese e molti altri devono molto a questa innovazione. Gli Skiantos hanno cambiato il modo di scrivere e presentare la musica. Frasi come “Un chinotto ogni due ore è un gran viaggio da signore” hanno la stessa forza evocativa di uno slogan pubblicitario come “Bevi la Coca-Cola che ti fa bene”.
Il rock demenziale non solo ha influenzato il linguaggio musicale, ma ha anche aperto la strada a una nuova modalità di comunicazione, combinando irriverenza, critica sociale e un forte senso di identità. Ha permesso agli artisti di esprimersi in modo più libero e diretto, rompendo con le convenzioni del passato e creando un nuovo paradigma culturale.
In conclusione, il rock demenziale ha rappresentato una svolta importante nella storia della musica italiana, lasciando un’eredità duratura che continua a influenzare gli artisti e i creativi di oggi. Gli Skiantos, con la loro audacia e originalità, hanno gettato le basi per un nuovo modo di fare musica, dimostrando che anche il nonsense e la provocazione possono essere strumenti potenti per raccontare e interpretare la realtà.
Cosa rendono diversi gli Skiantos di allora a quelli di adesso. Posso dire che anche il tempo è cambiato e forse non ci sono più i “fondamentali” di allora? Non ne faccio una questione di nostalgia.
È certo che ciò che ha caratterizzato gli Skiantos del primo periodo non potrebbe più esistere oggi. Molte cose sono cambiate, e anche noi siamo cambiati. Tuttavia, c’è un aspetto incredibilmente significativo: è sorprendente vedere quante e quali persone continuano a seguire la band.
Incontro spesso ragazzi giovani, figli di vecchi fan, ma non solo, che conoscono tutte le nostre canzoni e impazziscono per i pezzi di allora. Questo dimostra che, al di là di tutto, quel messaggio nato in quel particolare contesto storico ha una valenza universale. In qualche modo, ciò che abbiamo creato appartiene a più generazioni, e riproporlo oggi non è solo un tentativo sbiadito di restare rilevanti, ma è qualcosa che continua a infondere energia e potenza nei giovani.
Il nostro messaggio, nato in un periodo di grande fermento culturale e sociale, riesce ancora a risuonare con le nuove generazioni. La nostra musica e il nostro approccio irriverente continuano a trovare un pubblico entusiasta, dimostrando che i temi di ribellione, ironia e provocazione sono eterni. Questo ci mostra che, nonostante il tempo passi e il contesto cambi, c’è una continuità nel bisogno di esprimersi in maniera autentica e controcorrente.
Il fatto che i giovani di oggi trovino ancora valore e ispirazione nella nostra musica è una conferma della sua rilevanza. Significa che il nostro lavoro ha superato la prova del tempo, diventando parte integrante di un patrimonio culturale che trascende le epoche. Questo mi dà una grande soddisfazione e conferma la potenza del linguaggio demenziale e della nostra arte.
E quindi, come diceva il vecchio Freak, possiamo affermare con orgoglio: “Facciamo cagare, ma abbiamo l’esclusiva”.
Carissimo Leo siamo alla fine di queste quattro chiacchiere. “i gelati sono buoni ma costano milioni” mi sembra che tutto ciò calzi perfettamente…. Ora cosa combini artisticamente parlando? E intanto grazie Leo, anche da parte di SOund36, per averti conosciuto cosi!
Bè se fatta una certa….Diciamo che con il tempo sono successe tante cose e il mio percorso, che non oso definire “artistico”, si è sviluppato in moltissime direzioni. In fondo, sono solo un batterista a cui piace la musica e, sorprendentemente, suonare la batteria.
Negli anni, mi sono dedicato a una varietà di generi musicali. Ho suonato jazz, funky, reggae e soul; ho lavorato con il teatro e mi sono cimentato anche nelle produzioni dance. Qui a Bologna, ho collaborato praticamente con tutti e continuo a farlo. Da tempo, ho un grande feeling con la musica brasiliana e spesso mi esibisco in questo genere.
Ogni tanto, torno a suonare con gli Skiantos e, anche se scherzosamente li definisco dei cretini, mi diverto sempre moltissimo. Continuano ad avere l’energia e lo stesso spirito irriverente di allora. Però merda se sono invecchiati…
Prossimamente, raggiungerò l’età della pensione, e ho già in mente un nuovo progetto che mi sta molto a cuore: un progetto rock di demenza artificiale. Credo che questa idea possa portare un po’ di novità e continuare la tradizione di provocazione e ironia che ho sempre amato. Vi terrò aggiornati su questa nuova avventura!
Bacioni a tutti.