Se fosse una commedia divina inizierebbe nel mezzo di una vita. Ma poiché ‘A Muzzarell’, primo lungometraggio del fotografo e artista del visivo partenopeo Diego Santangelo, è un dramma contemporaneo e terragno, l’occhio narrativo gioca d’anticipo e s’aggancia ai 12 anni di Daniele e al suo broncio di ragazzo ingarbugliato tra i fili della frenesia preadolescenziale, del costante rischio concreto di finire nella rete criminale e dell’aspra vita scarnificata di Castel Volturno, dove è nato e vive. Una selva oscura, nonostante il sole accecante, da cui un giorno Daniele s’allontana perché sua nonna moribonda esprime il desiderio di mangiare un’ultima mozzarella di bufala di cui suo figlio è produttore eccellente ed è lui, infatti, che chiede al ragazzo di portargliela in tempo, visto che la nonna abita a quasi 40 km di distanza, nei Campi Flegrei.
Quando salta in sella al motorino sistemando la scatola di mozzarelle tra lui e Martina, fanciulla bellissima di cui è infatuato e a cui chiede di accompagnarlo, Daniele non sa ancora che quello che sta per iniziare sarà un viaggio inconsapevolmente ostinato verso la via smarrita, dove tutto può accadere, anche la paura, anche il male, anche il bene, anche la fame e pur non sapendo se temere o affrontare quel che viene – su due ruote prima e poi, lungamente, fortunatamente a piedi – lui, pane e cazzimma, intanto va: tra la sporcizia di luoghi e persone, tra derelitti e (forse) folli, tra fetori, crudeltà e bestialità acquisite, tra tempo spezzato e tempo rallentato (anche nella narrazione), tra incanto e incantesimi di luoghi, storia e miti, castelli e antri, tra cancelli e barche, tra il buio di quello che c’è stato o c’è per poco e la bellezza di quello che c’è sempre, come il mare, ma non si è più capaci di vedere.
E allora è flusso filmico, a getto, in una storia imperfetta che va lasciata andare così com’è e che, va detto, senza l’empatica colonna sonora di Adriano Pennino e il canto bello della vocalist Partenope non sarebbe stata la stessa.
“… vafangul a’ morte, che teng che ffa’ cu ‘tte … ma è pazzo? … ‘o mezzo … Il Sud. A Sud soffia l’alito della vita, a Sud nasce e muore … Vai all’antro della Sibilla, io lì vado … ma come? le case sott’acqua e le case sgarrupate … voglio diventare famosa … ‘o biondo … Io sono già grande … Non avevo idea, chisto è proprio ‘o Paraviso …uè, tiiene ancora ‘a capa ‘e pazzia’? … i’ aggio fretta … omme ‘e mmerda … ‘Ma che freddo fa’ … signor Animal’ … Ma si’ tu Motòm? … si’ nu fallito traditore …Danie’, guardati dal male, la vita è sporca … si vvene, nun me facc’ truva’ … ‘a strada … vide de nu la perdre cchiù … per me ‘a nonna è … ma sacc’ la vita e song ‘nu guerriere …”.
La regia d’esordio di Santangelo, che ha lavorato al progetto con sua figlia Naomi Sally in low budget e reclutando, con approccio neorealista, decine di non professionisti (compresi i due giovani protagonisti, Daniele Aiello e Martina Varriale), si avvale di un fotografia straordinariamente efficace nel fissare gli eventi narrativi in un caleidoscopio di polaroid semplici e dirette che, al netto di qualche cliché e di alcuni sfiati ritmici, sostengono non poco una narrazione generosa ma di difficile gestione, in un andirivieni di sogni e verità, di giusti riferimenti omaggio a cineasti partenopei e internazionali, di cronaca sociale e soprattutto di compassione alta e partecipe, che finisce per portare lo spettatore a chiedersi durante i titoli di coda se ci vuole più coraggio, più stomaco o più speranza per vivere in un limbo così disperato, come quello ritratto nel film, eppure così aggrappato alla vita.
Come i denti di Daniele affondati per languore – in una scena nodale – nella mozzarella e nel suo latte denso, anche di significato, con fame di futuro.
Se un giorno d’estate un ragazzino
Dalla macchina fotografica alla macchina da presa, il debutto registico di Diego Santangelo con il film ‘A Muzzarell’