di Daniele Panico
Cento anni e non li dimostra: è il proprio caso di evidenziarlo! Stiamo parlando della bossa nova, il noto ritmo, la famosa danza del Brasile. A questo punto giova evidenziare come della vasta letteratura saggistica in giro per il nostro Paese acquista particolare rilevanza l’ultimo libro dedicato proprio alla musica popolare brasiliana ,partendo proprio da questo centenario, ad opera di uno dei più illustri musicologi italiani –come l’ha definito il TG3 RAI in occasione della prima biografia sull’italianità di Frank Sinatra- Gildo De Stefano.
Il titolo è già emblematico di per sé, Saudade Bossa Nova, con un sottotitolo ammiccante quanto significativo dell’argomento, Musiche, contaminazioni e ritmi del Brasile (Logisma Editore, Firenze, pagg. 260, €. 25,00), con due pregevoli contributi introduttivi, dell’autorevole cantautore e scrittore Chico Buarque de Hollanda e dell’ex-giornalista RAI Gianni Minà.
Sicuramente come spicca dalle note di 4ª di copertina questo libro di De Stefano ‘segna uno spartiacque, e tutte le storie precedenti sono di colpo invecchiate’. E ciò ha fatto di tale libro forse il più importante studio in circolazione”. Una ristretta schiera di autori si sono cimentati a raccontare la storia di questo genere musicale ed è interessante come le grosse scosse che arrivano dall’esterno del Brasile sono servite a permettere agli artisti brasiliani di interrogarsi sui motivi e sulle spinte delle proprie creazioni che sono quasi sempre, alla fine, prepotentemente originali.
La bossa-nova, di cui i musicisti trattati in questo libro sono figli più o meno naturali, ha permesso ai compositori brasiliani di confrontarsi e di misurarsi su un prodotto nazionale originale, che ha dissolto gli schemi formali della musica fino ad allora vigenti: così alcuni strumenti come la chitarra hanno riacquistato una posizione centrale, anche se non esclusiva, svolgendo oltre al loro ruolo di accompagnamento anche quello, sottinteso, di propulsore ritmico, ossia delle percussioni; ritmo che è sempre presente nella musica brasiliana e che nella bossa-nova si concretizzava con la sua mancanza.
Ciò che De Stefano riesce a sviscerare nel suo studio è il mettere in evidenza la curiosa accentazione, il sincopato, lo slittamento, che costituiscono il fondamento del modo di approcciarsi a questi strumenti da parte dei bossa-novisti, soprattutto la chitarra con musicisti d’eccezione a cominciare da João Gilberto a finire a Tom Jobim, che hanno attinto con un’immensa capacità di sintesi al patrimonio popolare e folklorico del loro Paese.
Le armonizzazioni della bossa-nova sono in realtà gruppi e aggregati di suoni che non rispondono a regole armoniche precise e piuttosto dipingono degli “ambienti emozionali” dentro i quali si muove la voce, in senso strumentale; a volte con un recitativo quasi parlato, a volte in onomatopeiche sillabazioni, aborrendo l’interpretazione esteriore e preferendo un’espressione interiorizzata che come gli ambienti armonici, genera ambienti emozionali, ossia emozioni e sentimenti che si esprimono in accordi non risolti di tensioni emotive: un evidente caso di cromatismo sentimentale, a volte dense, errante, irrisolto, che vaga e fluttua sapendo quanta sia illusoria e vana la cadenza della musica europea che crede di concludere e di risolvere quello che non sa neppure spiegare. La peculiarità fondamentale di questa musica è rappresentata dall’intensa capacità emotiva, fortemente umana, che riesce a esprimere queste sonorità, le loro contaminazioni, fino ad arrivare ai ritmi e a tutti quei colori tipici del Brasile senza ricorrere ad arie enfaticamente drammatiche, ma con una mobilità straordinaria che in pochi secondi, grazie a un accenno, a una piega melodica, con un leggero scarto armonico, con una indecisione ritmica, con una parola pronunciata indipendentemente dalla quadratura musicale e metrica, è in grado di passare dalla tristezza all’allegria, dalla malinconia all’ardore, dalla disperazione a una contagiosa e sublime euforia senza sforzo alcuno, senza dispendio di mezzi, con naturalezza e semplicità incantevoli.
Le crisi, le regressioni, le euforie e i fallimenti della bossa nova sono gli stessi che ha sofferto il Brasile. Ma quella musica, quella danza, parla una lingua che oltrepassa i confini della terra che l’ha partorito. Le sue radici appartengono, si può dire, all’intero pianeta. II suo ritmo, le sue melodie e le sue parole non sono autoctoni, come non lo sono i sentimenti che la animano: il risentimento e, appunto, la saudade. Essi ci riportano ai milioni di immigrati che, riversatisi un secolo fa in questo paese, ne mutarono per sempre il volto.
De Stefano, musicologo e giornalista, nella sua accurata e vivace ricostruzione, ci fa scoprire le origini segrete e il travolgente sviluppo del samba e della bossa nova, dalle favelas malfamate di Rio de Janeiro alle escolas che sfilano nel Sambodromo. L’autore ripercorre la carriera di autori e interpreti di fama internazionale come Jobim, Veloso, Gil, Bethania, Costa; riporta i testi di decine di canzoni, quelle ingenue e licenziose dei primordi e quelle illuminate da lampi di autentica poesia del grande Vinicius; ricorda anche gli oscuri ballerini e suonatori di periferia, le garotas di Ipanema la cui bellezza ha brillato una sola estate; e illustra il ruolo di strumenti come il berimbau, la cuica, il cavaquinho, l’agogò, il pandeiro, ai quali sono legate sonorità e atmosfere inconfondibili. E dall’incontro di tutti questi elementi che nasce il fascino della bossa nova, una sorta di pensiero malinconico che si balla.
Con tutta probabilità, al di là di tutte le definizioni affidate all’analisi teorica e ad essa sfuggenti, è proprio questo il tratto fortemente distintivo di questa musica, ciò che la differenzia da tutte le altre e che ha colorito di nuove tonalità arricchendone indefinitamente il campo cromatico: la melopea del fado portoghese, corrotta ritmicamente dalla agogica negra, con la dissoluzione del senso e l’allentamento dei legami logici delle intonazioni e interiezioni indie. Praticamente questo clima di sfida cooperativa rappresenta l’habitat naturale in cui si muovono i musicisti brasiliani che in definitiva sono una grande famiglia, spesso patriarcale, e nella quale si lavora alacremente per la musica come nella famiglia Bach; lamentando magari gli scomparsi come facevano i polifonisti fiamminghi del ‘400 e come fanno Chico e Toquinho che cantano in memoria di Vinhinha, l’ambasciatore della poesia musicale brasiliana (Samba pra Vinicius).