Sound&Vision

Sabrina Napoleone – Cristalli Sognanti

Scritto da Claudia Erba

Cristalli Sognanti è un album insurrezionale, staminale, irradiante; un unicum nello scenario musicale contemporaneo

“La maledizione del genere umano, in tutta la sua storia, è sempre stata l’insistenza con la quale ha affermato che tutto ciò che già si sapeva doveva essere giusto e che tutto ciò che differiva dalla norma consacrata doveva essere sbagliato”.
Con il Theodore Sturgeon di Cristalli Sognanti, omaggiato nell’omonimo album, Sabrina Napoleone ha in comune sicuramente una vocazione iconoclasta, da sempre messa in luce dagli addetti ai lavori.
Cristalli Sognanti è un magnete in forma di album, un lavoro dalla carica insurrezionale, staminale, irradiante, un disco di sogno e di combattimento; un unicum nello scenario musicale contemporaneo.
La fascinazione per l’Islanda- gli aficionados della cantautrice genovese ricorderanno Modir Min, rivisitazione post-punk /gothic-rock della filastrocca tradizionale islandese che dava il nome al lavoro precedente- riemerge nella straniante, quasi liturgica Gardur, cantilena onirica dalla trama contrappuntistica.
L’urgenza delle batterie elettroniche scandisce la giambica Critone: synth fantasmatici, archi noisy, versi gutturali e chitarre roots per una discesa progressive rock- in odore di avanguardia- negli umanissimi inferi del tradimento, con corredo di cori, dichiarato tributo a Patti Smith e Franco Battiato, che sembrano trasmutare l’apocalisse in farsa.(Eat! Eat!Tutto l’universo obbedisce alla fame.Eat! Eat!)
Suggestioni trip-hop nella sofisticata Stupidi e disperati, composta e pre prodotta a distanza, durante il lockdown del 2020, insieme alla cantautrice Cristina Nico e al cantante e performer Stefano Luna e ripresa in studio nel 2022 insieme a Giulio Gaietto.
Echi radioheadiani si colgono in un lavoro (si ascoltino- su tutte- Come 7 quarti e Palazzo, nella quale la poesia finale è di Hilija Russo) che, forte di influenze avant garde jazz, sembra sfidare in maniera sempre più ardita la forma canzone e approdare in isole sonore remote, dalle architetture ardite e sperimentali, visionarie e cangianti.
Goth rock inglese in stile Bauhaus per Malattia Invettiva, in cui paesaggi sonori quasi trap deflagrano in ritornelli dark wave; reiterazioni ossessive scandiscono invece la notturna Chimera, in cui l’elettronica siderale di Napoleone incontra le chitarre elettriche di Stefano Bolchi, disegnando atmosfere nevrotiche à la Nine Inch Nails, tra distopia e precognizione.
(Ed ero fuori per le vie del centro ed ogni cosa era allagata, le case, le piazze, i palazzi, le auto sommerse, e per spostarsi si nuotava. E realizzavo mi soffocava, ma che quel fluido non bagnava.)
Spiccano, su tutte, La visione dell’occhio di Dio, scritta a quattro mani con Salvatore Papotto aka Berlin-Babylon Project e Mevidda.
Forme popular e avanguardia colta, inserti elettronici e minimalismo della ritmica, della melodia e dell’armonia convivono in La visione dell’occhio di Dio, un ibrido sonoro che si nutre di impeto noise e di echi orientaleggianti; un vestito a tratti industrial rock per un testo di grande autorevolezza autoriale, amplificata da un’effettistica vocale dall’immediata risonanza emozionale.
Dulcis in fundo l’immersiva Mevidda, otto minuti di musica sinestesica, se così si può definire. Uno strumentale dalla potente carica evocativa che vira verso l’avanguardia più eterodossa, contaminando foschia ambient, claustrofobia techno e tribal. La fiumana umana vomita la sua voce disarticolata, rumore di fondo che sfuma lentamente. E si può ricominciare-lucidamente- a sognare.

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Claudia Erba

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