“A forza di stare su internet, ci trasformeremo in androidi e sogneremo pecore elettriche”, una citazione da Blade Runner e che Franz Di Cioccio e Patrick Djivas, amanti della fantascienza, hanno fatto propria, sviluppando il concept del loro nuovo album, uscito in questi giorni in tutto il mondo nella doppia versione italiano e inglese.
“Ho sognato pecore elettriche“ (”I Dreamed of Electric Sheep”), entusiasmante contaminazione di generi, prog funk pop classica metal elettronica, è una sorta di celebrazione, 50 anni dopo “Impressioni di settembre”, esordio fulminante di questa band che poi ha mantenuto tutte le promesse. E oggi, arrivati fin qui, le due anime del gruppo, Franz e Patrick, si interrogano sulla trasformazione del genere umano operata dalla tecnologia.
Volevano parlare di come il mondo intorno a noi sta cambiando rapidamente, e di come i computer stanno invadendo ogni aspetto della nostra vita, dicono quasi all’unisono, completando l’uno le parole dell’altro, in sintonia perfetta di pensieri e di intenti. Un’intesa totale già dichiarata nella cover, che vede la fusione di due anime affini unite nell’intento di creare.
Dice Franz: “Dopo 110 concerti del tour PFM canta De André, stavamo per riprendere nuove date della nostra musica, quando ci ha fermato il lockdown. E fermi, inerti, blindati a casa, in un tempo sospeso che sembrava quello del militare, quando tutti i ritmi si sconvolgono e devi adeguarti a nuove regole, abbiamo pensato che l’unico modo per continuare a suonare era fare un disco. Organizzarci non è stato molto semplice, perché Partrick abita fuori Milano, e lì c’è il suo studio, per cui ogni giorno facevo 100 chilometri per raggiungerlo, con tutti i permessi e i documenti per andare e tornare. Ma non volevamo arrenderci a quei momenti sbandati che ci hanno coinvolto tutti: sentivamo ispirazioni e energie, e siamo andati avanti. E’ stato anche un modo straordinario di estraniarci da tutto quello che vedevamo intorno, e per fortuna siamo qui a poterlo raccontare.”
Perché avete pensato alle pecore elettriche?
Nonostante il silenzio terribile che abbiamo attraversato, sappiamo di vivere in un arcipelago di giga e un mare di algoritmi, tutti con il telefonino in mano, davanti ai computer e sui social, perdendo umanità e diventando noi stessi quasi delle macchine. Ci si sta accorgendo troppo tardi di questo problema, come quello del riscaldamento globale… Il nostro è stato un pensiero tremendo, di sgomento, se viviamo in un mondo di androidi, le pecore nei nostri sogni saranno elettriche… Era una storia, e ci abbiamo messo intorno la nostra musica, con la stessa confusa energia, entropica e distopica. Mozart diceva “Metto delle note insieme, che si vogliono bene”, e noi abbiamo fatto lo stesso, in piena libertà, immaginando di essere sul palco, in un clima live, già chiaro sin dall’apertura, un pezzo strumentale che dura 3 minuti e contiene 200 anni di musica, di stili, di generi. Come strumentale è anche il pezzo di chiusura, perché noi siamo musicisti, e la musica sola è una festa, una gioia che esprime tutte le tracce di noi. In mezzo, le canzoni sono tutte in fila e raccontano la storia”.
Siete affascinati dalle pecore.
Le pecore sono animali molto liberi, stanno nel gregge ma poi cercano le loro strade, i piccoli o grandi pascoli dove andare a brucare. Restando sempre in armonia. Un po’ come noi due, diversissimi di carattere ma sempre uniti nella nostra musica, nella sezione ritmica che una batteria e un basso debbono avere, per un risultato al cento per cento. E finchè non lo raggiungiamo non siamo soddisfatti: un proverbio americano dice che il genio è per l’1% ispirazione e per il 99% sudore. Noi sudiamo tantissimo, perché nel nostro mestiere devi sempre alzare l’asticella. Forse è anche per quest’impegno che andiamo avanti con successo e con entusiasmo da cinquant’anni”.
Nel disco, oltre a Di Cioccio e Djivas, ci sono anche Flavio Premoli, Lucio Fabbri, Luca Rabbini, Alessandro Scaglione, Marco Sfogli, Alberto Bravin. E soprattutto, due special guest eccellenti: Ian Anderson e Steve Hackett.
I primi sono compagni di viaggio abituali. Ian e Steve due amici, due musicisti straordinari che si sono divertiti a lavorare con noi. Ian suona, e sembra quasi in un suo mondo. Non vuole essere toccato da nessuno. Steve è un folle, inizia a suonare e prosegue inventando, e ovviamente non replica mai.
E la versione inglese?
Resta la musica, ma i testi non sono la traduzione di quelli italiani. Sono le parole della poetessa a cui sono stati affidati, le sensazioni della sua parte di mondo. Un altro mondo da scoprire.