LE SERVE @ Ridotto del teatro Comunale Vicenza
20 marzo 2024
di Jean Genet adattamento di Veronica Cruciani con Eva Robin’s, Beatrice Vecchione, Matilde Vigna
regia Veronica Cruciani traduzione Monica Capuani scene Paola Villani costumi Erika Carretta
drammaturgia sonora John Cascone co-produzione CMC/Nidodiragno, Emila Romagna Teatro ERT/Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Bolzano
foto di Laila Pozzo
Articolo di Francesco Bettin
Come amano e odiano queste serve al Ridotto del Comunale di Vicenza lo si apprende subito, unite da sentimenti fraterni e omicidi allo stesso tempo, verso se stesse, verso la Signora loro padrona, verso il mondo intero. Amiche fedeli, prima ancora sorelle, stesso disappunto per la vita e stessa visione. E’ in continuo ed estenuante ribaltarsi di contenuti che Claire e Solange si muovono scambiando un ruolo, Claire interpretando di fronte a Solange la Signora, in assenza di questa naturalmente, in attesa del suo arrivo.
In quella casa, quella camera che diventa via via nelle casse con rotelle, letto, comodini, specchi, armadi il loro desiderio perpetuo fino all’inverosimile è essere la Signora. O non essere? Perché Jean Genet gioca qui, in questa partita il desiderio infinito , appunto di essere e non essere, mentire, anche a se stesse, e dire la verità.
“Le serve”, titolo di quest’opera, è tutto e di più, in questo senso. Come scrisse Jean Paul Sarte, giusto citarlo, “uno straordinario esempio di continuo ribaltamento tra essere e apparire, tra immaginario e realtà”.
Le menti delle serve ribollono di rabbia e di un intercalare alternato di realtà e immaginativa stravaganza, che non promette, e infatti così è, nulla o quasi di buono. Che poi a guardare bene anche l’amore odioso verso la Signora non è questione di stato sociale ma va oltre, rasenta l’osare totale, un rito da compiersi giorno dopo giorno nel loro nulla confuso e per nulla gentile. Che poi, ancora, Madame c’è veramente? O la forte frustrazione è nelle loro teste immaginandosi chissà che delle loro esistenze? E loro stesse, ci sono? Certo è che le due entrano, prima e dopo l’arrivo di Madame a casa, nel deserto del reale, scritta che primeggia in scena e si alterna ad altre, sempre con la fissa in testa che altri devono pagare, ma senza risparmiarsi l’un l’altra, anzi.
I battibecchi anche fra loro ci sono, le offese turpi anche. Oltre all’ammissione, al credo di uccidere la loro padrona le due hanno anche denunciato anonimamente, con una lettera alla polizia, l’amante della Signora, pur messo in libertà subito. E qui i vari piani di lettura si moltiplicano, offrendo un’altra visione nella visione con la verità-finzione che si allontana sempre più e al tempo stesso si riavvicina.
E’ teatro nel teatro, scandagliare l’animo, la mente, le follie, il recitare (nei più significati), l’immaginare, la menzogna occulta e non, il giocare tra se stesse e con gli altri. Un gran calderone che annuncia, e dichiara, che il teatro è tutto ciò e di più, e che in questa storia si apre a pensieri allargati, a rituali possibile ma perduti per il tempo che non lascia scampo, come non lo lascia alle proprie intenzioni. Fino al colpo di scena finale, per chi non lo conosce già. Anche in questo caso affiora un fallimento…Nel loro disperato tentativo di essere (e non essere, appunto) le due serve arrivano a una conclusione dapprima dubbiosa (Saremo libere?), poi più decisa e dichiarata (Siamo finite).
Tre interpretazioni decise, di tre attrici davvero brave: le due serve sono Beatrice Vecchione, con una gamma espressiva poliforme, e Matilde Vigna, entrambe interpreti- certezze e non più promesse, e si vede da come si muovono, ammiccano, agiscono. La Signora, Madame, è Eva Robin’s, sempre brava a stare in scena, sempre piena d’allure, di classe da vendere, di presenza accattivante e forte, con l’ umile reale appartenenza a questo mondo per saper cogliere il meglio da tutto quel che fa. Se un appunto si può muovere questo è solo, parzialmente, alla regia di Veronica Cruciani. Ed è quello di non aver, a mio parere, osato un po’ di più visto che il testo lo permetteva, con qualche particolare coup de theatre che sarebbe andato ancor più a fondo. Una stilettata (non letterale, sia chiaro) aggiunta, d’effetto, non ci sarebbe stata poi male assieme al resto.