L’esigenza di raccontarsi mettendo a nudo tanto la maturità acquisita quanto l’inclinazione a porsi domande, senza timore di mostrarsi confusi, contraddittori, fallibili. È un viaggio tra le pieghe del sé quello che Katelyn Tarver condensa nelle undici tracce di “Quitter”, il suo secondo album (disponibile già dal 9 febbraio), mescolando atmosfere leggere (mai frivole) a dialoghi o soliloqui di introspettiva trasversalità.
A poco più di trent’anni, la cantautrice ed attrice californiana assolve la propria interiorità (e di riflesso quella di un’ intera generazione) rispetto alla possibilità di mollare la presa, accettando l’imperfezione e l’inciampo lungo il cammino nonché l’idea che l’esistenza non debba seguire un percorso standardizzato, ricordando come tra la volontà di migliorare e la spasmodica ricerca di perfezione, si collochi l’autodistruzione ovvero un ostacolo che impedisce di abbracciare i limiti e di suggellare una tregua con il proprio senso (iper)critico .
Brindando al coraggio di definirsi benevolmente rinunciataria e semplicemente una persona, Tarver non smette di domandarsi cosa renda la vita degna di essere vissuta (tra piccole cose, intense relazioni e fatui abbagli) e se davvero chiudere gli occhi davanti alla realtà, ignorandola, possa essere la panacea di tutti i mali o incarnare solo un’illusione.
La pasta vocale dell’artista è figlia di questo tempo: limpida, con qualche increspatura, da cui fanno capolino le nostalgie e i tormenti di chi conosce il potere della parola manipolata, il desiderio di trasformare ciò che si vive in una favola (che poi odora di artefatto) e il pensiero che in alcune occasioni, l’unica cosa da fare sia voltare pagina allontanandosi dal dolore.
Lei, cresciuta sotto le luci della ribalta, tra palcoscenico e piccolo schermo, non nasconde la paura verso ciò che è, così come la fascinazione nei confronti di quello che avrebbe potuto essere senza un riflettore puntato in viso.
Un ‘esposizione rivelatasi croce e delizia, la spinge a chiedersi se senza il denaro e la fama avrebbe comunque qualcosa da mostrare o manterrebbe un valore agli occhi di chi oggi la ama, quei pochi veri amici che è difficile incontrare, riconoscere e non perdere.
Un invito, quello di Katelyn Tarver ad accogliere (non senza conflittualità intime) splendori e misfatti del proprio io, abituandosi a non rinnegare niente, dal momento che non può esistere il bene senza il male.
Perché lasciar andare non è sempre un errore, a volte è una prova di forza e di autodeterminazione, rintracciabile sulle frequenze della musica e dell’esistenza.
In un turbinio lento ma costante, capace di seguire l’incedere pop- folk dei giorni allegri e l’intensità cupa e contrita delle giornate più caotiche, immobile, disteso su un letto, idealmente si muove il corpo di una giovane donna alla scoperta di sé e nel farsi immagine cantautorale lascia una traccia autobiografica delicata e al contempo incisiva.
Un sussurro, un urlo sottopalco, un silenzio sottopelle, un quesito e una risposta. Le canzoni di Katelyn Tarver somigliano a chi le confeziona e forse non solo.
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Ufficio stampa: Ja.La Media