Interviste

Fabio Capanni

Compongo la mia musica come un dispositivo per prefigurare spazi, del tutto immaginari. Cerco di indurre l’ascoltatore ad abbandonare il suono e a rivolgere i propri sensi verso l’interno per cercare la propria dimensione interiore. Almeno per un attimo.

Sei un musicista e un architetto. Cosa apporta l’architettura alla musica e quanta musica c’è in un progetto architettonico?
Credo che architettura e musica abbiano più cose in comune di quanto possa sembrare. Non saprei dire quale sia l’apporto reciproco di una all’altra, sono piuttosto affascinato da quelli che sono gli aspetti comuni. Primo fra tutti la questione del tempo, che a me interessa moltissimo. Il tempo è elemento necessario in entrambe, senza di esso non esistono né architettura né musica, banalmente, niente esiste. Il tempo scandisce l’esperienza sia in architettura che nella musica e quello che a me interessa maggiormente è come il flusso del tempo, in architettura, generi l’esperienza dello spazio e come, in musica, al contrario, generi un’esperienza statica ma che, a suo modo, prefiguri anch’essa uno spazio. Ecco, credo che, proprio grazie al tempo la musica si configuri come una sorta di esperienza spaziale che può somigliare a quella dell’architettura ma, se possibile, ancor più emozionante. È proprio in virtù di questa convinzione che compongo la mia musica come un dispositivo per prefigurare spazi, del tutto immaginari naturalmente. Ma mentre lo spazio architettonico è reale ed è uno spazio che ha limiti e misure precise, quello musicale è uno spazio della mente che non ha confini, tende all’infinito. La mia ambizione principale è che l’ascoltatore sia trasportato in una dimensione irreale dove può attraversare territori ignoti e immergersi in spazi sconosciuti, che altro non sono che spazi dell’anima.

Outside è un album strumentale dalle sonorità originali e oniriche. Puoi parlarci della sua ideazione e composizione?
Outside è nato come prosecuzione e completamento di Home, il mio primo album solista del 2021. Nasce attorno alle sonorità della mia chitarra che uso da sempre come mezzo per creare suoni inediti apparentemente estranei a uno strumento a corde. È un approccio che ha sempre contraddistinto il mio percorso di musicista e che mi ha permesso di collaborare con musicisti di livello internazionale, da Harold Budd a Hans Joachim Roedelius da Peter Principle e Luc van Lieshout dei Tuxedomoon, che suona anche in Outside, a Steve Jansen e Richard Barbieri dei Japan e altri ancora. I brani possono nascere in modi diversi, da un’idea di struttura a un frammento melodico, da una base armonica a un semplice rumore, quello che non varia mai è la ricerca del suono attraverso la mia chitarra. Si tratta quasi di una sfida: non faccio volutamente uso di tastiere, sintetizzatori o altro, ma affido tutto alla chitarra, in modo da essere costretto a generare tutte le sonorità necessarie con il solo uso di essa. L’uso delle macchine è naturalmente decisivo: non le uso in maniera canonica, ma processo il suono della chitarra cercando sempre di spingere la macchina a fare cose per le quali non è stata progettata, in qualche modo la porto al limite per ottenere sonorità inedite sulle quali comincio a lavorare fino a quando non ottengo quello che il mio istinto mi suggerisce. È una sorta di caccia al tesoro dove il fiuto, quasi selvatico, è determinante. Aggiungo il tema del silenzio che per me riveste un ruolo importante. La mia musica, seppur “densa”, tende costantemente al silenzio; è un silenzio squisitamente musicale che non è assenza di musica, ma è come una condizione di sospensione nella quale cerco di indurre l’ascoltatore ad abbandonare il suono e a rivolgere i propri sensi verso l’interno per cercare la propria dimensione interiore. Almeno per un attimo.

“Al di fuori” di cosa desideri condurre l’ascoltatore?
Il tema del dentro e del fuori è ancora un tema architettonico, che in questo caso ha un significato più ampio. Forse proprio perché architetto, il tema del limite e del rapporto fra ciò che sta dentro e ciò che sta fuori è un tema che mi ha sempre affascinato. Home, il mio primo album solista, ha rappresentato il mio ritorno alla musica dopo un lungo silenzio, un’esperienza che mi ha permesso di riappropriarmi di qualcosa che mi apparteneva profondamente e che avevo in qualche misura perduto, o forse meglio, nascosto. Per ritrovarla ho dovuto rivolgere i miei sensi verso l’interno e cercare dentro di me. Nel momento in cui ho riscoperto questa mia dimensione interiore, mi sono reso conto che essa altro non era che una proiezione di tutto ciò che mi circondava e che, al tempo stesso, tutto ciò che era esterno a me poteva in qualche modo essere visto come una proiezione di tutto quello che stava dentro di me e rappresentava la mia interiorità. È maturata in quel momento l’idea che il dentro e il fuori, Home e Outside, possono essere visti come due aspetti della stessa dimensione, dipende qual è il punto di osservazione che si decide temporaneamente di assumere. L’album inizia con un brano che si intitola Inside e termina con uno che si intitola Outside, in un ideale viaggio da dentro a fuori per scoprire però, alla fine, che il viaggio può essere ripreso nel senso opposto, innescando una circolarità infinita, che è poi uno dei significati più profondi della nostra esistenza che anela all’eterno senza mai raggiungerla.

Quali sono i punti di contatto e di distanza tra il tuo primo lavoro (Home) e Outside?
Credo che tra Home e Outside ci sia una grande omogeneità di suoni e di atmosfere, l’uno fluisce nell’altro in un susseguirsi di paesaggi sonori immaginari senza soluzione di continuità. Dei punti di contatto tra i due album ho già in qualche modo trattato nelle domande precedenti: il tempo, lo spazio, la dialettica tra il limite e l’illimitato, la musica come dimensione dell’anima, il suono e il silenzio come generatrici della musica.
Anche se i due album sono simili e, come già detto, sono complementari, sono però diversi nella loro costruzione. Home è un album scritto di getto, composto e registrato in poco più di un mese, un flusso di idee ed emozioni scaturite all’improvviso, “semplice” nell’accezione positiva del termine. Outside è un album più meditato, direi più maturo, fortemente ispirato al pari di Home, ma con una consapevolezza maggiore. Outside credo sia un album più complesso e raffinato negli arrangiamenti, nelle soluzioni, anche nelle idee, nonostante conservi l’immediatezza di Home.

Grazie Annalisa per l’attenzione che hai voluto dedicare alla mia musica, è stata una conversazione interessante con domande stimolanti.

About the author

Annalisa Michelangeli

Mi chiamo Annalisa Michelangeli, nata a San Severino Marche nel 1982, ma cresciuta in un piccolo paese tra Marche e Umbria, sui Monti Sibillini. Vivo a Macerata. Amo la musica e ogni altra forma d’arte da sempre. Scrivo poesie e di recente ho pubblicato un saggio autobiografico su un mio personale percorso legato alla gestione della fibromialgia. Ho una formazione linguistica e letteraria, possiedo attestati per insegnare yoga per bambini e quello di assistente all’infanzia. Attualmente svolgo attività di docenza d’italiano per stranieri che è il mio ambito di specializzazione e mi appassiona molto. Da molti anni seguo concerti in tutta Italia, in passato con una frequenza maggiore essendo allora più libera da impegni lavorativi e famigliari: sono anche mamma di una bambina di otto anni. Nel 2007/2008 ho frequentato un corso di giornalismo musicale legato a una rivista che si occupava sia di jazz, che di rock. Ascolto soprattutto indie rock inglese e italiano, ma anche cantautori del passato, musica francese, sono curiosa di scoprire gruppi emergenti e nuove sperimentazioni nel panorama musicale.

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