Interviste

Giorgio Comaschi, Intervista

Abbiamo intervistato Giorgio Comaschi,“attore, giornalista, non siliconato, non fumatore”.

Scrivere nel tuo biglietto da visita: “non siliconato” mi ha colpito molto! Quindi Giorgio Comaschi dice sempre ciò che pensa!
Provo a dire ciò che penso. L’età aiuta. Si arriva a incerto punto in cui te ne frega meno di stare fra le righe. E qualche volta magari si esagera. Sul “non siliconato” volevo fare ovviamente ironia su quelli che sono siliconati e non lo dicono. Viviamo in un mondo di donne coi labbroni, di zigomi assurdi, di gente che cambia i tratti somatici e ci giriamo il telefonino verso di noi mettendo la bocca a culo di gallina. Vogliamo cambiare le carte in tavola, ma non ci accorgiamo che le carte sono quelle.

Nella tua lunga carriera hai sempre spaziato tra le cose “di uso corrente” e “le riflessioni”. La passione per la scrittura da dove nasce?
Mio padre era un fotografo e giornalista di cronaca nera. Fotoreporter, una figura ormai scomparsa. Ho fatto il liceo classico e qualcosa forse mi ha dato. Il mio mestiere è scrivere. Sono prima di tutto un giornalista perché è la cosa che mi viene più facile, più spontanea. Poi ho fatto altri mestieri per divertirmi, l’attore, il cabarettista, il cantante, addirittura il regista di cortometraggi. Voglio giocare sempre. Ho le braghe corte fisiologicamente e ho sempre cercato di non mettermi quelle lunghe. Finché c’è una collezione Panini da fare c’è speranza.

L’Eco di Comaschi non nasce a caso vero? Lo possiamo considerare un vero giornale di approfondimento, con totale senso dell’ironia? Una cosa che sta’ proseguendo sulla tua pagina di Facebook…
Anni fa Massimo Gagliardi che era capocronista del Carlino inventò La Mosca, la rubrica che tengo sul Carlino al sabato. È quella la mia palestra di ironia, guardare la gente, osservarla, scovare i tic (che poi sono anche i miei) e prenderla in giro. Ma prendendola in giro prendo in giro anche me. Basta stare attenti. Alla mattina, al bar, all’edicola, in fila alla posta. La gente ti dà sempre un pezzo divertente da fare.

Parlando di teatro, non possiamo non citare Lucio Dalla, grande amico e “responsabile” di alcune tue scelte nel lavoro. Ad esempio il teatro.
Sì, Lucio è stata la chiave della mia volta. Quando lavoravo a Repubblica e avevo iniziato a condurre Gala goal su Telemontecarlo, Scalfari che era direttore mi disse: “O la televisione o il giornale”. Io non sapevo cosa fare e fu Lucio a darmi la spinta, un giorno, al telefono: “Scusa, ma è come se ti avesse chiesto: vuoi mangiare due chili di pomodori o volare? Te devi dire volo”. Mi licenziai mi è andata bene. Con Lucio condividevamo la passione per il Bologna. E in più ogni mese aggiornavamo la nostra classifica segreta dei primi cinque imbecilli di Bologna.

Un altro personaggio con qui hai avuto “uno scambio importante” è stato Antonio Albanese, insieme avete avviato una scuola di teatro: Teatro Lab Bologna. Quanto è importante per te il teatro e quanto la scrittura? Possiamo farne un paragone?
Con Antonio abbiamo diretto Il Teatro Lab per tre anni. Lui è un grande. Un matto, uno con la braga corta. Basta guardarlo quando va a pescare “a mosca”. Il teatro per me è fondamentale. E con lui la scrittura perché chi scrive in fondo mette sempre su un teatrino. Il teatro è prezioso perché la gente si prende da casa, trova un parcheggio, paga un biglietto e si siede per vedere te. Apposta. Non è stravaccata su un divano col telecomando in mano e ti pesca per caso, scarrellando.

Tu ami raccontarti cercando di captare le riflessioni profonde della gente; entri a far parte dei loro pensieri, come ti chiedesse un aiuto. E lo rendi pubblico con L’eco di Comaschi…
Boh, forse. Per esorcizzare i nostri momenti grigi. Credo che la gente abbia bisogno, come me, di essere presa in giro. La si aiuta. L’Eco di Comaschi poi in fondo è una raccolta di “Mosche” che pubblico. Nono aggiorno spesso. Preferisco Facebook o Instagram. È più immediato.

 Ti va di raccontare al nostro pubblico di SOund 36 “il Mistero di Felix Pedro”? Cosa si trova dentro la bara del povero Pedroni?
Una storia stupenda. Un emigrante di Fanano, Felice Pedroni che diventa Felix Pedro e scopre l’oro in Alaska nel 1902, fonda la città di Fairbanks, poi, siccome è analfabeta, si fa fregare da una prostituta irlandese e perde tutto. Ci ho scritto un libro e fatto uno spettacolo, grazie anche alla collaborazione di Claudio Busi che ha scoperto la storia. Abbiamo riesumato il cadavere nel 2004, col consenso degli eredi e con un professore dell’Università, per vedere se era stato ucciso dalla moglie. Ma di quello spillone che doveva esserci fra la quinta e la quarta vertebra nessuna traccia. Mi ha fatto impressione vedere Felix. Mummificato. In frak. Lo stricchetto intatto, perché la seta si mantiene anche dopo 100 anni.

Quanto ami la tua città? E quanto ami il tuo dialetto?
La mia città mi fa impazzire. Perché è pieno di mistero, è inafferrabile, è paesone, è grande città. È rotonda Bologna. Come le nostre facce, il nostro dialetto. Parlo in dialetto spesso con qualche bottegaio. Ce l’ho nell’orecchio. Ha il calore di una città calda, dove c’è sempre un piatto di tagliatelle pronto. E tutto il resto può andare a fare “uno squasso di pugnette”.

Siamo negli anni Duemila, e nessuno avrebbe mai pensato che nel 2020 sarebbe arrivato il Covid-19. Un improvviso stop all’Arte, ma anche uno stop alle nostre abitudini. Quali “consigli” ti senti di dare? Come vivi questo momento?
Io non lo vivo male. Perché lavoro da casa, perché scrivo. Ma capisco che per molti è durissima. Stop all’arte, ma non è poi così vero. Si può fare lo stesso l’arte. Il problema è il contatto. Questa cosa ci ha tolto il contatto fisico. L’abbraccio. Una vita senza abbracci è orrenda. Consigli ne ho pochi. Di tener botta è uno, ma si fa presto a dire. Di rimanere sé stessi un altro. Ma questo andava bene anche se non c’era il Covid.

Giorgio, grazie per queste chiacchere e per averci regalato un po’ del tuo tempo prezioso. Ti continuerò a seguire sulle pagine dei social, perché il tuo modo di spiegare la vita con ironia, aiuta sicuramente a…dormire sereni!
Guarda, la mia carriera è sempre stata quella di andare a letto alla sera contento di aver passato una bella giornata. Andare a letto sereni è il top della carriera di qualsiasi essere umano. Il resto sono balle e complicazioni inutili. Ciao.

Giorgio Comaschi

About the author

Alessandro Ettore Corona

Alessandro Corona nasce a Bassano del Grappa (VI) nel ’57. Dopo aver vissuto in varie zone del Veneto, si trasferisce a Bologna negli anni’70, seguendo tutto il movimento artistico di quel periodo; dai fumetti di A. Pazienza e N. Corona, alla musica rock britannica e americana, a quella elettronica di stampo tedesco, al cinema d’avanguardia tedesco e francese, per approdare poi alla scoperta della fotografia internazionale seguendo corsi di approfondimento e di ricerca.

Scatto per non perdere l’attimo.
Esistono delle cose dentro ognuno di noi, che vanno messe a fuoco.
Esistono cose che ci circondano e che non vanno mai perse, attimi che possono cambiare il nostro futuro; ognuno di noi ha un’anima interiore che ci spinge verso quello che più ci piace o ci interessa.
Io uso la macchina fotografica come un prolungamento del mio braccio, la ritengo un contenitore enorme per catturare tutti quei momenti che mi appartengono.
Passato e futuro si uniscono fondendosi insieme e per caratterizzare l’anima degli scatti creo una “sensazione di fatica” nella ricerca dell’immagine mettendo in condizione l’osservatore, di ragionare e scoprire sé stesso dentro l’immagine.
Trovo interessante scattare senza pensare esattamente a quello che faccio; quando scatto il mio cuore muove un’emozione diversa, sento che la mia mente si unisce con estrema facilità al pulsante di scatto della mia macchina, non esito a cercare quel momento, non tardo un solo secondo per scattare senza riflettere.
Il mio mondo fotografico è principalmente in bianco e nero, il colore non lo vedo quasi più, la trasformazione cromatica è immediata.
Non esito: vedo e scatto!
La riflessione per quello scatto, si trova in mezzo tra il vedere e lo scattare senza esitare sul risultato finale, senza perdere tempo in quel momento.
Diventa immediato per me capire se quello che vedo e che intendo scattare può essere perfetto,
non trovo difficile esprimere quello che voglio, la macchina fotografica sono io.
Ogni scatto, ogni momento, ha qualche cosa di magico, so che posso trasmettere una riflessione quindi scatto senza cercare la perfezione estetica perché nella fotografia la foto perfetta non esiste, esiste solo la propria foto.
Works:
Fotografo e grafico: Mantra Informatico (cover CD), Elicoide (cover LP)
Fotografo ufficiale: Star for one day (Facebook). Artisti Loto (Facebook)
Fotografo ufficiale: Bowie Dreams, Immigrant Songs, Roynoir, Le Sciance, Miss Pineda.
Shooting: Federico Poggipollini, Roynoir, Heide Holton, Chiara Mogavedo, Gianni Venturi, Double Power big band, Progetto ELLE, Star for one day, Calicò Vintage.
Radio: Conduttore su LookUp radio di un contenitore artistico, con la presenza di artisti.
Fotografo ufficiale: John Wesley Hardyn (Bo), Reelin’and Rocking’ (Bo), Fantateatro (Bo), Nero Factory (Bo), Valsamoggia Jazz club (Bazzano), Friday Night blues (Bo), Voice club (Bo), Stones (Vignola), il Torrione (Fe), L’officina del gusto (Bo), Anzola jazz, Castelfranco Emilia blues, Bubano blues, Mercatino verde del mondo (Bo), L’Altro Spazio (Bo), Ramona D’Agui, Teatro del Pratello (Bo), P.I.P.P.U Domenico Lannutti, Insegui L’Arte (Badolato CZ), Artedate (Mi), Paratissima Expo (To), Teatro Nuovo e club Giovane Italia(Pr), Teatro Comunale e Dehon (Bo), Teatro delle Passioni (Mo).

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