Il filone del cosiddetto “Nu-folk” americano, dopo aver raggiunto vette di inestimabile pregio melodico e stilistico, sembrava essersi spento o aver rallentato sia la produzione di talenti che la genesi di piccoli capolavori. Del resto, figure divenute iconiche come Iron and wine, Fleet foxes e Bon Iver, sono punti di riferimento con i quali musicisti ed ascoltatori devono fare i conti nel proprio personale percorso attraverso le diverse manifestazioni del genere.
A smentire questo apparente appannamento arrivano due ragazzi di Wilmington, nella Carolina del Nord, città fino ad oggi nota soprattutto per aver generato Michel Jordan, il più grande cestista di sempre, che pubblicano un disco intitolato “Ancient transition” edito dalla canadese “Nettwerk” etichetta che produce anche i più noti Sterophonics e Father John Misty.
Al termine dell’ascolto di “Ancient transition” c’è l’impressione di trovarsi di fronte ad un album già maturo, frutto di notevoli abilità cantautorali, pieno di personalità e poco indulgente a certe comode rappresentazioni della tradizione folk americana, eppure l’album si apre proprio con una sorta di omaggio ad uno dei maggiori interpreti del genere. Un vocalizzo in falsetto, proprio di quelli che abbiamo imparato ad amare in “For Emma, for ever ago” di Bon Iver, apre la bellissima “Tongue tied”, un brano che sembra essere cantato ad occhi chiusi, cercando un riferimento nell’incedere marziale della batteria in sottofondo. Quella citazione è usata, però, come un sipario che con i primi arpeggi di chitarra si apre a rivelare un mondo sonoro costruito su autentiche personalità musicali.
Ci sono due anime, ben fuse tra loro in questo disco, una che cerca atmosfere eteree e prova a cantare pomeriggi appena scaldati da un sole sempre più pallido, ed una più marcatamente pop, dove trionfano la melodia e gli arpeggi di chitarra molto ben costruiti e suonati. Ne è un buon esempio “Bees and Swans” la cui struttura melodica e il cui cantato strabordano di sicurezze, le stesse che il testo, malinconico e costruito su un alternarsi di familiarità e ignoto, mette in discussione.
C’è una continua ricerca di casa in questo lavoro dei Beta Radio, di quella da cui si proviene o di quella cui ad un certo punto della propria vita si scopre di appartenere. Una casa solida in mattoni on in legno, come quella ritratta nella copertina del disco, o un luogo meno fisico e consistente, per il quale il termine casa viene usato in maniera solo metaforica. “Who didn’t know if you could be my home right now” cantano in “Our remains” uno degli episodi di maggior pregio nel del disco.
Assolutamente da brividi è la splendida “Gone for a while”, ballata classicheggiante sulla lontananza e sulle piccole certezze che si perdono quando ci si allontana dalle persone, un brano dove la tensione emotiva è sostenuta da un sottofondo di chitarra morbidamente tagliente.
Con un po’di sorpresa il disco si chiude in maniera più scontata, “All at once i saw it all” e “On your Horizon” sono i brani che ci si aspetterebbe di ascoltare in un disco di indie folk, con atmosfere intimiste marcate, pronte a scontrarsi con arpeggi maggiormente nervosi. Ma per fortuna c’è il banjio di “On your Horizon” a dare un respiro di nuovo al brano, facendolo scivolare, con i suoi riflessi metallici, in una dimensione melanconica di tipo blues.
Dopo quasi dieci anni di attività, Brent Holloman e Ben Mabry, nella loro esperienza come Beta Radio, riescono a produrre un album nel quale la qualità della scrittura e della composizione musicale riescono da dare al genere del nu-folk americano uno scossone salutare. L’Olimpo del genere è forse lontano, ma la strada che i due hanno imboccato è sicuramente quella giusta.
Beta Radio – Ancient transition
Album pieno di personalità e poco indulgente a certe comode rappresentazioni della tradizione folk americana