E’ una stagione di riposo, lontano dai concerti per ritrovarsi solo con la musica e comporre nuove canzoni. Un’esigenza che sentiva dentro, dopo un anno e mezzo di tour insieme a Francesco De Gregori, e 500 mila biglietti venduti in tutta Italia. E pensare che all’inizio erano previste solo poche date, quasi un gioco per ritrovarsi insieme, loro che da ragazzi erano partiti entrambi dal Folk Studio, avevano firmato con la stessa casa discografica, dove si incontravano nei corridoi quando andavano a far sentire i nuovi pezzi. Ma l’accoglienza del pubblico per questo duo inaspettato e quelle loro canzoni che fanno parte della nostra vita aveva allungato sempre più il calendario, e tutti li avrebbero voluti ancora, ma prima dello scorso Natale è andato in scena l’ultimo spettacolo, un vero trionfo, al Palazzetto dello Sport di Roma gremito e commosso.
Adesso, mentre De Gregori ha inciso un disco inaspettato con Checco Zalone, “Pastiche”, e si esibiranno insieme alle Terme di Caracalla di Roma nell’inedita formazione voce e piano & band (per ora solo 2 date a giugno, ma non si può mai dire), Venditti è in ritiro creativo.
Lui, il pianoforte, le sigarette e gli immancabili occhiali scuri, che mette da sempre perché, come dice lui, “so’ cecato. Nel senso che non ci vedo, fin da quando ero ragazzo, e strizzavo gli occhi per mettere a fuoco le cose. Ma non volevo ammetterlo, perché nella mia generazione uno con gli occhiali era un “quattrocchi”, lasciato da una parte dalle ragazze e dai compagni di scuola, con cui non giocavo a pallone perché non lo vedevo. Come non vedevo il numero dell’autobus, e spesso salivo su quello sbagliato. Quando l’oculista mi prescrisse gli occhiali per miopia e astigmatismo, mi cambiò la vita, e non me li sono tolti più. Non certo per darmi arie da divo e mettere una barriera fra me e gli altri. Neppure quando ho cominciato a cantare”.
Li portavano anche Gino Paoli e Edoardo Bennato.
Quelli loro erano scuri, io sulla copertina di Theorius Campus, il primo disco inciso insieme a De Gregori, ne avevo un paio con la montatura di tartaruga bianca e lenti trasparenti. Allora c’era pochissima scelta. Poi un giorno, durante un concerto a Falconara, vidi una ragazza con le lenti fumé e la montatura a goccia, e li cercai subito: erano i Rayban, quelli che portavano i comandanti degli aerei americani durante la guerra in Vietnam, quelli con il cerchietto di metallo al centro per mettere la sigaretta e avere le mani libere per guidare. Per un fumatore come me erano l’ideale, e da allora ho sempre avuto quelli. Tanto che qualche anno fa, quando la società decise di mandarli fuori produzione, mi chiesero se volessi l’ultima dotazione rimasta: trenta pezzi che ho regolarmente pagato, così ho la scorta per tutta la vita”.
Hai mai pensato alle lenti a contatto, o anche all’operazione?
No, perché so che avere quelle cose sugli occhi mi darebbe fastidio. E per l’operazione, forse sono troppo pigro. Poi penso che certe cose fanno parte della vita, e i miei occhiali ormai fanno parte di me, non potrei vedermi senza. Sono poco propenso anche alle medicine, e per fortuna ho una buona salute, e non ne ho bisogno. Neppure per il poco sonno che ho da sempre. Una volta Fabrizio De André mi dette una scatola di Malatonina, assicurandomi che avrei dormito benissimo. Quella scatola è ancora nel mio cassetto, intatta, come un cimelio, e neppure una volta ho avuto la tentazione di prenderla per farmi una dormita lunga e profonda”.
E si rimette al pianoforte, e dietro le lenti scure i suoi occhi seguono altri pensieri e altre note.
Foto di copertina di Valeria Bissacco