E’ il consulente d’immagine più amato e ricercato nell’ambiente della musica, ma a lui piace definirsi image consultant, per quel fascino internazionale del suo lavoro, che lo ha portato lontano, richiesto dalle regine assolute delle classifiche. Perché gli piace lavorare soprattutto con le donne, con cui riesce sempre a stabilire un’intesa di amicizia, oltre che di professionalità.
Pure se tutto era cominciato con un uomo…
Cesare Zucca racconta che tutto è cominciato per caso, per strade laterali, tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80, quando faceva le pubbliche relazioni e l’organizzatore di feste esclusive al Primadonna, Divina e No Ties, le discoteche più in voga di Milano. Quello era il lavoro notturno, perché di giorno era all’ufficio stampa della EMI, potente casa discografica di allora, per cui incidevano Francesco Guccini, Franco Battiato, Pino Daniele e tanti altri. Fra i tanti altri, c’era anche Alan Sorrenti…
“Veniva dal prog rock e aveva l’aspetto tipico di quella musica, capelli lunghi, barba, jeans e maglie sbrindellate. Aveva appena inciso “Figli delle stelle” a Los Angeles, e si sentiva che era un pezzo fortissimo. Mi chiesero di curargli il look per la copertina, gli feci tagliare capelli e barba e accorciare i baffi, e gli feci mettere un completo bianco di Versace. Lui si era piaciuto subito, e pure se i grandi capi dicevano che sembrava troppo frocio, quella fu la sua nuova immagine sul disco che fece il giro di mezzo mondo. Un grande successo, che era anche un po’ il mio successo.”
E infatti ti affidarono Kate Bush, che aveva inciso “Wuthering heights” e veniva a presentarla al Festivalbar, che ai tempi era la manifestazione musicale più importante.
Lei da noi era una sconosciuta, ed era fondamentale un’immagine che colpisse. Mi dettero carta bianca, così andai a New York per comprare delle maschere, e poi a Milano feci realizzare alcuni costumi da samurai e un grande aquilone costruito dagli scenografi della Scala. La sera dell’esibizione l’Arena di Verona era gremita, e lei apparve all’improvviso dietro l’aquilone girato lentamente dai samurai. Una sorpresa. Un trionfo.
Dopo, chi c’è stata?
Alice, al Festival di Sanremo 1981. Cantava Per Elisa, e voleva un’immagine forte, alternativa ai lustrini e agli abiti scollati che erano un classico per l’occasione. Scegliemmo pantaloni da cavallerizza, un giacchino corto e sciarpa morbida intorno al collo. Sembrava un’amazzone, con la sua voce potente conquistò tutti, e vinse. Pure se la grande favorita era Loretta Goggi con Maledetta primavera.
Non poteva mancare Loredana Berté.
E infatti è arrivata. Una collaborazione bellissima, stimolante, a volte litigiosa per il suo carattere difficile, ma forse proprio per questo straordinaria. Lei indossava sempre jeans e magliette a maniche corte, ma per “Il mare d’inverno” scelse un look post-atomico, a brandelli. Per “Savoir faire”, decisi di vestirla bene, con abiti di Versace e Ferré, fotografata da Alberta Tiburzi. In quegli anni le feci anche provare una parrucca blu, capell corti alla Tina Turner, che forse l’hanno spinta per il colore che ha scelto negli ultimi tempi.
Hai seguito anche Eros Ramazzotti.
Un debuttante assoluto. Lo incontrai tre giorni prima della sua partecipazione a Sanremo con “Terra promessa”, un po’ borgataro romano, i capelli ricci e scomposti. In quel periodo c’era il film “I ragazzi della 56esima strada”, e mi ispirai a loro: jeans, chiodo nero, capelli rockabilly e maglietta bianca riciclata da Alan Sorrenti. Vinse il Festival. Qualcuno cominciava a dire che portavo fortuna.
Così decidesti di andare in America.
Sognavo di lavorare con Madonna, e partii come un emigrante. A Los Angeles condividevo la casa con un arrangiatore che lavorava nel giro di Donna Summer e Giorgio Moroder, facevo qualche consulenza occasionale, finché qualcuno fece vedere a Madonna i miei lavori, e lei mi volle per le foto di copertina di Bazaar Germania. Allora era sposata con Sean Penn, e ci trovammo a casa sua. Mi colpì un coltello infilato nella parete dello studio: una scultura moderna un po’ inquietante. Per lei avevo scelto abiti di Gaultier, Mougler, Versace e Moschino, e si innamorò un po’ di tutti, tanto che nel tempo ha seguito spesso questi stilisti.
Continuava il tuo universo femminile.
Ho lavorato con Annie Lennox, quasi inventando un gioco di carte: la regina di cuori e quella di picche, un abito rosso di Versace, con una parrucca nera, e un abito nero di Missoni con una parrucca bianca lunga fino al sedere. Lei, così androgina, diventata una femme fatale. Un’immagine fortissima, che fece un grande effetto. La Toya Jackson, invece, l’avevo raggiunta a casa sua, un giardino con gnomi e folletti di bosco, e abbiamo scelto un abito bianco per illuminare la sua pelle. Poi c’è stata anche Agnetha Falgskog, la bionda degli Abba, per il suo primo album da solista: l’avevo convinta a tagliarsi i capelli, che doveva essere anche un suo modo di tagliare con il passato. Scegliemmo un taglio corto, un po’ scompigliato, sbarazzino, con un abito nero essenziale, una foto che in Svezia fu quasi uno shock, un tradimento, come se i quattro “eroi nazionali” dovessero rimanere sempre uguali a se stessi, fermi nel tempo. Ma nonostante lo “scandalo” il disco rimase per 53 settimane in classifica. Poi lei mi ha richiamato 3 anni fa, quando il gruppo si è ritrovato per una reunion virtuale. Avevano comprato una grande area alla periferia di Londra per registrare lo spettacolo Abbatars, dal loro ultimo album Voyage, un concerto che il pubblico avrebbe visto con i loro avatar digitali: ologrammi con costumi scintillanti, glitter e stivali con plateau, la loro stessa versione anni ’70, giovani e sorridenti all’apice del successo, realizzato con le potenzialità del metaverso e dell’intelligenza artificiale. Per Agnetha di oggi avevo scelto un abito nero di Armani.
E adesso?
Sono tornato a casa, a Milano, e mi godo il tempo libero. Ho ritrovato i miei amici discografici del passato, e ci vediamo con affetto, senza nostalgia. Saltuariamente faccio ancora consulenze di immagine, ma debbono essere personaggi che mi stimolano, o con cui ho rapporti di amicizia. Come Marcella, a cui non sono riuscito a far tagliare la sua selva di capelli, ma almeno li ho fatti schiarire. E le ho anche fatto indossare abiti griffati. Magari potrei occuparmi delle due primedonne della nostra politica, perché anche la politica fa spettacolo: Meloni e Schlein, che mi pare ne abbiano bisogno. Ma dipende dal budget… io sono bravo, e perciò molto caro”.