Pop Corn

50 pagine al giorno- Mancarsi di Diego De Silva

Scritto da Giulia Carlucci

“Vogliamo che la persona che amiamo ci dica d’essersi innamorata di noi perché un giorno, senza neanche pensarci, l’abbiamo toccata in un punto in cui non sapeva di essere sensibile, come certe carezze che arrivano molto in fondo per conto loro.” Così Diego De Silva ci racconta l’amore.

Mancarsi, sfiorarsi senza incontrarsi, e infine trovarsi.
Irene e Nicola frequentano lo stesso bistrot ma non si conoscono. Hanno vite parallele. Due amori finiti alle spalle e la comune abitudine di concedersi in un bistrot qualche minuto di tregua dal quotidiano. Prendersi del tempo.
Tempo per pensare a ciò che è stato o solo guardare il mondo che continua a muoversi e riflettere su quella mancanza d’amore che li accomuna da lontano.
Un uomo e una donna, che guardano le proprie ferite in silenzio, perché la vita e l’amore quando ti spezzano a volte non fanno rumore, e oltre a pezzi scomposti di noi ci lasciano appetiti di vita e d’amore.
I due vengono da situazioni di mancanza diverse.  A Irene manca se stessa, perché in quel matrimonio che ha lasciato si era completamente annullata. Recitava, da non sa più neanche lei quanto tempo, il ruolo della moglie perfetta.
“E il peggio che ti può capitare, quando ti abitui a vivere in un mondo ridotto a una persona soltanto, è di pensare di avere abbastanza mondo per essere felice, addirittura diventarlo, e così raccontarti che nel resto del mondo, tutto quell’altro mondo che non è lei, non vuoi neanche più andarci; infatti non ci vai, e dopo un po’ ti senti persino fiero di aver smesso di frequentarlo, quel mondo così vasto, anche se poi quando viene a girare dalle tue parti o lo vedi dalla finestra ti sale un po’ di magone, e te ne torni dentro mordendoti le labbra.”
Nessuno spazio per lei, nessun impeto. Solo affetto per quell’uomo che ha sposato ma con il quale è diventato difficile ridere e impossibile vivere.
Così Irene si spoglia di quel ruolo e si lascia tutto alle spalle. Prova ad essere ciò che non avrebbe mai pensato, si misura con la parte più sconosciuta di se stessa e veste i panni di una conquistatrice seriale. Capisce presto però che essere una donna nuova non passa necessariamente attraverso la snaturalizzazione di sé.
Nicola invece vuole un figlio e il rifiuto opposto dalla moglie nell’assoluta mancanza di dialogo trai due introducono al pensiero reale della crisi. Una crisi interrotta solo dalla morte accidentale di lei. Tutto resta sospeso. La mancanza di Nicola è diversa. È mancanza di una vita che non si sarebbe mai realizzata. Parole rimaste trai denti. In lui rivive “il peggior modo di sentire la mancanza di qualcuno è starci seduto vicino e sapere che non lo potrai avere mai”, come direbbe Gabriel García Márquez.
Poi c’è il caso. La probabilità che intriga.
Quante volte ci siamo domandati “e se la persona giusta per me fosse nella mia stessa stanza, ma non riuscissimo ad avere un contatto? Quante volte ci siamo visti, senza soffermarci mai? Magari i nostri sguardi si sono persino incrociati… Le nostre vite continuano a scorrere, inconsapevoli l’uno dell’esistenza dell’altro, eppure con un granello di speranza racchiuso nei secondi che passano”.
Sì, c’è la probabilità. Quella di un amore che può sfiorarti. Quella di una mancanza colmata o di un’assenza tornata presenza.
Il destino per entrambi tende il suo filo rosso in quel bistrot. Nicola si siede al tavolo dove solitamente è seduta Irene e basta uno sguardo – di anime e non di occhi- ad aprire infinite possibilità, un storia ancora da scrivere.
Uno stile asciutto- ma fatto di tinte molto vivide- dipinge una storia intima che parla ai sentimenti più profondi di ognuno di noi. Un amore solo intuito. Un’ipotesi di amore. De Silva ci propone un piccolo gioiello in poco più di 80 pagine. Una storia tenera, semplice e diretta che colpisce e resta. Una storia raccontata con una prosa tanto più limpida quanto più interessata a lasciar spazio al sentire personale.Così personale è anche l’epilogo, lasciato aperto sul futuro dei protagonisti così come potrebbe succedere nella realtà. Porte aperte su un divenire incerto e casuale.
Porte aperte su spazi bianchi che costruiscono un ponte con il lettore, regalando spazio ai nostri pensieri.
Ci riconosciamo tutti, ognuno con una storia diversa. Ci riconosciamo nelle sensazioni e nelle annotazioni. Ci conosciamo nelle parole, nei pensieri descritti. Ci riconosciamo per istinto o affinità psicologica e forse ancor più nell’amore intuito che è “anima che abita due corpi”, come direbbe Aristotele, che per questo è puro e non potrà mai essere sporcato dalla realtà.

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Giulia Carlucci

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