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50 pagine al giorno- L’appello di Alessandro D’Avenia

Scritto da Giulia Carlucci

Per la salvezza di tutti è necessaria la salvezza di ognuno. La presa di coscienza e di coraggio inizia dalla pronuncia del proprio nome, dalla risposta a un appello, alla chiamata dell’altro

“Chi ha paura di morire cerca di resistere e si limita ad appropriarsi di energie già esistenti. Chi invece ha fame di vivere diventa un rivoluzionario, suo malgrado, perché crea nuove energie che prima non c’erano e le introduce nella vicenda umana dando slancio, forza, calore agli altri”. Alessandro D’Avenia

Quante volte abbiamo risposto a un appello senza minimamente pensare che potesse essere una chiamata alla vita? Se l’appello non fosse un semplice elenco e se quella presenza dichiarata diventasse davvero il nostro primo atto di esistenza?Una coraggiosa adesione alla vita? Questa è la scuola che il prof. Romeo sogna. Ha poco più di quarant’anni il nostro insegnante di scienze, dieci di questi ormai passati privato della vista, quando torna a scuola come supplente per una classe “Difficile” si direbbe, in cui sono stati emarginati casi Disperati.
Una sfida per Omero Romeo (non solo anagramma ma nomen omen?), professore cieco, che fino a ieri viveva persino nell’ incertezza della propria sopravvivenza. Romeo dà vita al suo nuovo modo di far scuola, e lo strumento di questo è l’appello: ogni sua lezione i ragazzi- invitati a sedersi sempre agli stessi posti in modo che lui stesso possa costruire una geografia delle voci in cui orientarsi- oltre a dire proprio nome devono arricchire la “chiamata”con pensieri o riflessioni inerenti la propria vita. Si tesse così una nuova trama di relazioni, il nome assume la forma del racconto di sé, e presente non è più una parola ma un’azione.
Poi tocca loro il volto, perché una relazione non è fatta solo di parole ma anche di tatto, come ci insegna D’Avenia: “il contatto ci fa sapere chi siamo e chi non siamo, dove cominciamo e dove finiamo e la carne che abbiamo in comune. La vita è tutta questione di tatto.”
Così facciamo conoscenza con una ragazza che nasconde un segreto inconfessabile, un rapper che vive in una casa-famiglia, un nerd che si relaziona agli altri esclusivamente attraverso uno schermo, una figlia abbandonata, un aspirante pugile che sogna di poter essere come Rocky Balboa e non solo… Il primo ad averli visti davvero è proprio il professore cieco, e in un momento ci si ritrova a pensare alle parole di Alfredo in Nuovo cinema Paradiso “Ora che ho perso la vista ci vedo di più” o a quell’essenziale invisibile agli occhi indimenticabile lascito di Antoine de Saint-Exupéry.
Dal professore impariamo quindi che prima di essere comunità o mondo, siamo singoli: siamo un nome, così inizia la nostra esistenza e per la salvezza di tutti è necessaria la salvezza di ognuno. La presa di coscienza e di coraggio inizia dalla pronuncia del proprio nome, dalla risposta a un appello, alla chiamata dell’altro. La scuola torna a essere terreno di una relazione dinamica – come lo è l’intelligenza- in cui entrambi i soggetti insegnano e imparano uno dall’altro, nella speranza che questo possa accadere di nuovo e in contesti sempre più ampi…
A una scuola contenitore nozionistico D’Avenia contrappone una scuola d’interesse per l’umanità tutta. Romeo porta ai ragazzi della V D(isperati) un nuovo modo di rapportarsi allo studio e al mondo stesso: lo sguardo curioso su ciò che ci circonda, l’interrogarsi continuamente che porta con sé riflessioni dal reale al concettuale e viceversa con assoluta continuità. In un libro che ha i tratti del diario annuale: dodici mesi da settembre a settembre- “non credo sia un caso che la scuola cominci a settembre, niente rappresenta meglio il toccarsi dell’inizio e della fine” – gli interventi e le storie dei ragazzi si strutturano come un appello anch’essi. Il professore si fa carico di questa umanità e non la abbandona a se stessa, la guida sulla strada del cambiamento, proteggendola dall’antagonismo della struttura sociale consolidata , il Preside, e conducendola a realtà sempre più ampie e soprattutto alla maturità intellettuale e personale.
“È normale trovare resistenza quando qualcosa mette in crisi un sistema: in fisica occorre vincere l’attrito prima di riuscire a mettere in moto qualcosa, figuratevi quel qualcosa è la scuola come la si fa da più di un secolo a questa parte…” Chissà poi se l’attrito riusciremo a vincerlo, se metteremo in moto qualcosa… di sicuro però saremo vivi e presenti.

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Giulia Carlucci

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