Pop Corn

50 pagine al giorno- Invernale di Dario Voltolini

Scritto da Giulia Carlucci

“E ricordati, io ci sarò. Ci sarò su nell’aria. Allora ogni tanto, se mi vuoi parlare, mettiti da una parte, chiudi gli occhi e cercami. Ci si parla. Ma non nel linguaggio delle parole. Nel silenzio.” Tiziano Terzani.

Torino. Gino è un macellaio del mercato di Porta Palazzo. Sono gli anni Settanta e nel suo mattatoio “spacca” animali per farne preparati per i clienti. È un lavoro fisico, di fatica. Un lavoro in cui sono richieste abilità nel valutare e misurare. Capisce i clienti, sa cosa esporre per vendere.
È un lavoro di precisione macellare la carne. I coltelli non ammettono incertezza, per ogni gesto, per ogni taglio un risultato.
È preciso Gino, sa cosa deve fare. Qualcosa però un giorno va storto, nel fendente inferto a una carcassa si mozza un dito. Il sangue freddo della bestia si mischia al suo e così un batterio trova spazio nella sua carne. L’infezione è un calvario, la spossatezza prende il posto della forza. Alla precisione subentra la confusione. Analisi, accertamenti, medici, ospedali. Poi una diagnosi. Il cancro. I tentativi di cura.  Al rumore del mercato si sostituisce un freddo silenzio.
Ora è Dario a raccontare. Ora è un figlio che parla del padre e della sua perdita prematura.
Dario Voltolini racconta suo padre Gino. Racconta il viaggio in cui lo ha accompagnato silenziosamente alla fine.
L’ultimo libro di Dario Voltolini è un memoir intimo, ma anche il racconto di un viaggio di conoscenza del padre e ri-conoscenza di sé.  Un viaggio comune che tutti prima o poi facciamo. A volte accompagnando il genitore e dialogando seppure silenziosamente con lui. A volte è improvviso, e il dialogo avviene ex post. In ogni caso tentiamo tutti, come Dario, la rassicurante emulazione in prima battuta. Come Dario che cerca di imparare un mestiere che non gli appartiene per aiutarlo. Parliamo con loro forse per parlare con noi stessi. Romanzo necessario.
Una scrittura ricca di tagli, precisi esattamente come quelli del padre. Nessun cedimento a sentimentalismi, solo una lingua cruda con cui si raccontano gli eventi.
Una prosa dritta e sincera, che già dalle descrizioni presenti nelle prime righe mette in guardia il lettore. Se vuoi scappa. Non ci sarà nessun essere spirituale in questo romanzo. C’è l’uomo. Ci sono malattia e dolore. Non c’è uno spirito sì, ma c’è ugualmente una riconciliazione. Con la figura paterna, con sé stessi.
Gli effetti della malattia sul corpo del padre. Gli effetti della malattia che si riverberano sul figlio, sulla famiglia. La vita cambia, lavorare diventa sempre più difficile. Quasi impossibile. C’è un dolore fisico nel viaggio del padre che diviene dolore emotivo nel figlio. Ma il dolore muta. C’è una risignificazione del dolore.
“Un modo più circospetto di camminare, una cautela nel gesto, un’attenzione a cose che altri non vedono” Dario guarda suo padre e il suo sguardo è malinconico e ricco di tenerezza in ogni evocazione.
C’è il silenzio, che pervade lo sfondo e lo riempie. Dario Voltolini ha ascoltato questo silenzio, ha sentito il freddo invernale. Un freddo che mitiga il dolore.
Voltolini ci mostra come anche l’inverno sia necessario. Il freddo, il silenzio, sotto la neve la natura riposa e si prepara a rinascere. L’inverno è una condizione necessaria per ognuno di noi, come ha scritto Ungaretti “Inverno. Come un seme il mio animo ha bisogno del lavoro nascosto di questa stagione.”

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Giulia Carlucci

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