A me l’inverno non mi piace, mi fa freddo dentro e fuori, mi piace invece l’estate, quando fa talmente caldo all’esterno che anche se dentro hai -10° non li senti così tanto. Per Zibba ho fatto un’eccezione. Perché alla fine il suo album non è inverno, non è neve, è un po’ tutte le stagioni. Fa molto freddo a tratti, che ti si congelano le vene e si aggroviglia lo stomaco, ma poi con clemenza lo scioglie, nascono le viole e le rughe si rilassano. Io credo che la sua forza siano i dettagli, non ti racconta i sentimenti, non si perde in paroloni da Zanichelli per raccontarti quanto il cuore si possa frantumare quando finisce un amore; lui te lo spiega attraverso i particolari, le metafore, “meno efficaci di alberi e d’inverno, a farci portavoce dell’eterno”.
È come quando ti innamori, e ti manca il fiato a guardare come la luce si posa sull’incavo del suo collo sudato mentre deglutisce, lui te lo canta.
Potrei raccontare di come non abbia abbandonato il raggae nonostante le sperimentazioni in atto, di quanto quest’album sia stato duro da realizzare dopo il successo ottenuto da “Una cura per il freddo”, potrei, ma quanto è importante? Preferisco parlarvi di cosa significa percepire in un istante come sia il suono dei passi sulla neve, che un suono non è, è una sensazione, una percezione, è la quiete dopo la tempesta, sono i momenti ovattati, di riposo, di stasi, di cambiamenti dopo che sono avvenuti, di vuoto, di pienezza, di inizio, ancora una volta, di inizio. L’ho ascoltato dal vivo, gli ho stretto la mano e l’ho guardato negli occhi; Zibba ha lo sguardo di uno che sulla neve non ci sa camminare, per esempio, ma li sa ascoltare, aspettare, accogliere, che forse è la cosa più importante.
Un album sui sentimenti, dicevamo, sulla dolcezza e l’estasi di un amore che comincia, quando l’incredulità di averlo così vicino ti fa sentire tutta un cuore che pulsa, ma anche sull’acidità della sconfitta, di quando ci hai impiegato gli anni migliori a costruire delle mura salde, e ti accorgi che non è servito niente, ti restano in mano un mucchio di ricordi misti a calcinacci e in gola la polvere del cantiere del tuo stomaco. C’è la nostalgia dell’infanzia, voglia di rinascita, appartenenza ad una Genova di marinai e poeti, e la scanzonatezza di fondo che ti fa allungare l’angolo della bocca in una smorfia di compiacimento, come a dire “ma sì, in fondo hai ragione tu, conta il percorso”.
ZIBBA – “Come il suono dei passi sulla neve”
(VOLUME! – WARNER Chappell – VENUS)
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Serena Zavatta