Ciao Ghibertins, intanto partiamo dal nome. C’è un motivo per cui avete scelto di chiamarvi così?
Il nome è legato alla nostra prima esibizione, un gruppo da forfait all’ultimo secondo, al nostro caro amico barman che lavorava in quel locale gli viene subito la malsana idea di chiamarci.
Non gli importava né che il gruppo si fosse formato pochi giorni prima, né che avessimo due prove alle spalle e cinque canzoni portate faticosamente in scaletta, aveva solo bisogno di un gruppo e ne aveva bisogno in fretta. Accettammo con qualche dubbio e alla domanda “che nome metto in cartellone?”
The Ghibertins fu la prima cosa che ci venne in mente. Lorenzo Ghiberti (una piccola via sconosciuta anche al più esperto taxista Milanese), è stata la nostra casa per i primi due anni, ma come nome era troppo “nazionale” e The Ghibertins in quel momento sembrava la scelta più sensata (soprattutto quando hai al telefono il primo ingaggio e non hai ancora un nome per la band a due ore dal concerto).
Da quando siete insieme? Avete sempre fatto folk/rock?
Suoniamo insieme da quattro anni e il Folk Rock è sempre stato il nostro sound di riferimento anche se ognuno di noi ci è arrivato tramite un percorso intrapreso con altre band con influenze diverse (Indie Rock)
Chitarre, basso e…la custodia della vostra chitarra…
Beh si, è una scelta alquanto bizzarra. Tutto nasce da un’idea per fare una cover di “Ho Hey” dei Lumineers. Avevamo bisogno di percussioni, ma le percussioni non c’erano e abbiamo preso in mano la prima cosa che poteva funzionare come gran cassa. Da allora la custodia è diventata parte integrante della band, e forse lo “strumento” più divertente da suonare sia live, sia in studio.
E’ uscito da poco il vostro ep “Square The Circle”, cosa significa per voi essere arrivati a questo importante passo?
La risposta la si può trovare già nel titolo. Quadrare il cerchio (Square The Circle) è impossibile. Nessuno di noi all’inizio avrebbe mai pensato di riuscire a dare un’identità così definita alla band. I “The Ghibertins” hanno un’anima e non è scontato in un gruppo musicale. Riuscire a trasmettere emozioni ed entusiasmo, creare e sentire l’empatia con chi ci ascolta è un emozione fortissima ed è il passo più importante che abbiamo ottenuto con il nostro primo EP.
Come siete accolti qui in Italia?
Sarà un luogo comune, ma non è facile fare musica in Italia e lo è ancora di meno quando canti in Inglese e fai musica Folk Rock. All’estero invece abbiamo come la sensazione che sia ciò che fai e non come lo fai ad essere importante. In un mondo musicale dove il sound è sempre più ingegnerizzato, noi abbiamo scelto di renderlo basico, semplice e puro.
Qualche vostro mito musicale?
Nonostante il sound del gruppo sia ben definito, le influenze dei singoli sono molto diverse. Alessio Hofmann (Voce e Chitarra) è l’anima più acustica della band; Paul Simon, Ben Harper, Mumford & Sons e Ryan Adams. Alessandro Fogazzi (Basso) è sicuramente il più eclettico (Johnny Cash, Pearl Jam, Tupac e Popa Chubby). Lorenzo (Chitarra) è il più stiloso: John Mayer, Sting, Jimi Hendrix, Eric Clapton.
E un vostro sogno (musicale) nel cassetto?
Il sogno musicale è quello di trovare un’etichetta che abbia voglia di investire in questo progetto e che ci permetta di evolvere il nostro sound senza rinunciare alla nostra identità. Certo, riuscire un giorno ad aprire concerti di band di riferimento come Mumford & Sons, Lumineers e John Mayer sarebbe davvero un’emozione unica.
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