Recensioni

#ROCK STORY 2 – La pianura dei sette fratelli – Gang (1995)

Scritto da Giovanna Musolino

Lotte, sangue, morte di donne e uomini che non hanno esitato a sacrificare la propria vita, che hanno combattuto senza esitazione in nome del bene comune ci hanno regalato la pagina più bella della storia italiana, la Resistenza

“La libertà personale è inviolabile…” (Costituzione italiana, art. 13).
Tutti noi amiamo proclamarci donne e uomini liberi, rivendichiamo l’inalienabilità dei nostri diritti, reclamiamo autonomia di pensiero e di espressione. Talvolta, però, dimentichiamo che tali diritti non sono caduti dal cielo, non si sono materializzati come per magia. Lotte, sangue, morte di donne e uomini che non hanno esitato a sacrificare la propria vita, che hanno combattuto senza esitazione in nome del bene comune ci hanno regalato la pagina più bella della storia italiana, la Resistenza.
La fiera e strenua Resistenza che ci ha condotti alla Liberazione e non può esserci libertà senza Liberazione. Oggi qualcuno tende a negare l’importanza di tale festa, a considerarla divisiva, non rappresentativa di tutti gli Italiani. La festa della Liberazione, invece, rappresenta tutti gli Italiani, anzi tutti quegli individui che si riconoscono negli ideali di libertà, giustizia, equità sociale, solidarietà: valori senza tempo né confine geografico. E allora ricordiamo anche noi il 25 aprile attraverso l’espressione che ci è più congeniale, la musica, e grazie a una splendida canzone che racconta una storia vera e tristissima, accaduta nell’Italia oppressa dal regime fascista.
La vicenda è quella di Gelindo, Antenore, Aldo, Ferdinando, Agostino, Ovidio ed Ettore Cervi sette fratelli partigiani, che avevano abbracciato gli ideali della Resistenza e che furono, tutti e sette, fucilati il 28 dicembre del 1943 dai fascisti, per rappresaglia.
“Questa è veramente una gran bella canzone, bella perché è utile. Nella tradizione contadina una cosa è bella se è utile e viceversa, altrimenti sarebbe una di quelle cose che serve solo per pigliar polvere, un ciaffo; è utile perché, quando la cantiamo insieme, torniamo a essere quello che siamo stati tanto tempo fa, una comunità”. Le parole di Marino Severini chitarra e voce dei Gang, una delle band più autentiche e sanguigne della scena musicale italiana, introducono La pianura dei sette fratelli, tratta dall’album Una parola per sempre.

Terra e Acqua e Vento non c’era tempo per la paura
Nati sotto la stella quella più bella della pianura
Avevano una falce e mani grandi da contadini
E prima di dormire un “padre nostro” come da bambini
Sette figlioli sette di pane e miele a chi li do
Sette come le note una canzone gli canterò
E Pioggia e Neve e Gelo e fola e fuoco insieme al vino
E vanno via i pensieri insieme al fumo su per il camino
Avevano un granaio e il passo a tempo di chi sa ballare
Di chi per la vita prende il suo amore e lo sa portare
Sette fratelli sette di pane e miele a chi li do
Non li darò alla guerra all’uomo nero non li darò
Nuvola Lampo e Tuono non c’è perdono per quella notte
che gli squadristi vennero e via li portarono coi calci e le botte
Avevano un saluto e degli abbracci quello più forte
Avevano lo sguardo quello di chi va incontro alla sorte
Sette figlioli sette sette fratelli a chi li do
Ci disse la Pianura questi miei figli mai li scorderò
Sette uomini sette sette ferite e sette solchi
Ci disse la pianura i figli di Alcide non sono mai morti
In quella pianura da Valle Re ai Campi Rossi
Noi ci passammo un giorno e in mezzo alla nebbia
Ci scoprimmo commossi

Sette fratelli, una vita normale, la fatica, l’amore, la fede, le gioie, i dolori. Tutto svanito in un frangente: l’irruzione degli squadristi fascisti che, a suon di calci e botte, li strappano alle loro famiglie e li trascinano via. Conoscono bene quale sarà la loro sorte, ma ci vanno incontro con lo sguardo fiero di chi non ha paura di morire. “Gli uomini passano, le idee restano”. E allora i figli di Alcide (papà Cervi) e tutti coloro che hanno sacrificato la loro vita, in nome di nobili ideali, “non sono mai morti”, né moriranno mai.
Il brano ha una forza non comune, è come se al suo interno si fondessero più linee narrative: quella che racconta la vita di questi uomini semplici, coraggiosi, dal grande cuore, abituati a sgobbare; la voce della mamma, che sembra ricordarli ancora bambini, come a cantare loro la ninna nanna, nel tentativo disperato di proteggerli “dall’uomo nero e dalla guerra”, l’urlo angosciato del padre, schiantato dal dolore ma con ancora la forza di credere che i suoi figli non siano morti.
Un ricordo che diventa memoria, dal cuore alla testa; una celebrazione che non ha nulla di retorico; una canzone completamente scevra di pompa magna, di toni altisonanti e posticci. Un brano che ha la sua forza nella semplicità e nella passione. Impossibile ascoltarlo senza che i brividi (reali e non metaforici) ci attraversino le membra. Impossibile ascoltarlo e non “scoprirsi commossi”. Grazie ai Gang per questa emozione incomparabile e grazie a chi ha reso possibile la Liberazione. Raccogliamo questa preziosissima eredità, serbiamola gelosamente e adoperiamoci perché i grandi ideali continuino a “camminare” sulle nostre gambe e su quelle di chi verrà dopo di noi.

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Giovanna Musolino

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