Recensioni

ROCK STORY # 16 SULTANS OF SWING – DIRE STRAITS

Scritto da Marco Restelli

Ripercorriamo la storia della strepitosa Sultans of swing dei Dire Straits

Bisogna ammetterlo: Sultans of swing dei Dire Straits ha un fascino irresistibile. Credo che la maggior parte delle persone che l’hanno ascoltata fino ad oggi, sin da quando uscì nel lontano maggio 1978 come primo singolo, abbia subito alzato il volume del proprio stereo – soprattutto in macchina – non appena la magica chitarra di Mark Knopfler accompagnata dalla batteria di Pick Withers attaccano questa magnetica cavalcata. Eppure, è altrettanto verosimile che molti distratti ascoltatori si siano nel contempo persi il racconto contenuto nel suo testo, ispirato a un aneddoto realmente accaduto allo stesso leader della band, ed è per questa ragione che lo abbiamo scelto per la nuova puntata di Rock Story.
Come è logico che sia, la storia si svolge in Inghilterra e la piovosa scena iniziale ci fa entrare subito nel mood del testo, che stride decisamente con la musica che l’accompagna, tutt’altro che malinconica. C’è il piacevole suono di un gruppo jazz che di sera si esibisce in un bar. Il posto è buio pesto – proprio come nell’immaginario collettivo si presenterebbe un locale nel quale si fa quel genere di musica – e a mala pena si riconoscono i volti delle persone.

You get a shiver in the dark,
It’s raining in the park, but meantime:
South of the river, you stop and you hold everything.
A band is blowin’ Dixie double-four time.
You feel alright when you hear that music play.
You step inside, but you don’t see too many faces.
Comin’ in out of the rain to hear the jazz go down.

Arrivano i primi dettagli e, precisamente, scopriamo che ci troviamo a Londra, anche se a Knopfler in realta l’idea iniziale venne in mente in un locale della città di Ipswich. La band, che sta suonando un pezzo in “Dixie double” (cioè uno stile molto veloce e con i suoni bassi in evidenza) in fin dei conti non è un granché. Eppure, qualche elemento riesce a farsi valere, come il chitarrista George (il riferimento è a George Young, fratello di Angus degli Ac/Dc) che sa il fatto suo, ma non si lancia mai in nessun assolo e si limita al compitino con la sua vecchia chitarra, che è anche la sola che si possa permettere.

Competition in other places…
But the horns, they blowin’ that sound.
Way on down south,
Way on down south, London-town
Check out Guitar George, he knows all the chords.
But it’s strictly rhythm; he doesn’t want to make it cry or sing.
If any old guitar is all he can afford,
When he gets up under the lights to play his thing.

Harry è l’altro chitarrista (Harry Vander che, insieme al succitato Young, faceva parte degli Easybeats) che se la cavicchia ed è bravo nell’honky tonk, ma suona giusto il venerdì sera con la sua band di cui ora scopriamo finalmente il nome: sono i Sultans of swing. Durante il giorno ha già il suo lavoro, infatti, e sta già bene così.

And Harry doesn’t mind if he doesn’t make the scene.
He’s got a daytime job, he’s doing alright.
He can play the honky tonk like anything,
Savin’ it up for Friday night.
With the Sultans,
With the Sultans of Swing

L’attenzione si rivolge quindi agli avventori del bar, in altre parole all’audience del gruppo e si scopre che sono solo dei giovanotti che fanno gli scemi nei vari angoli del locale, ubriachi e vestiti da mezzi fighetti. Non gli interessa nulla di questa band il cui suono è dominato dai fiati: a loro interessa solo il rock n’roll.

And a crowd of young boys, they’re fooling around in the corner,
Drunk and dressed in their best brown baggies and their platform soles.
They don’t give a damn about any trumpet playing band.
It ain’t what they call rock and roll.

Il finale è in qualche modo simpatico, almeno secondo la ricostruzione dello stesso Knopfler, perché quando il leader della band prende il microfono dicendo: “Buonanotte, è tempo di andare a casa…” poi aggiunge velocemente “Ah…noi siamo I Sultani…i Sultani dello swing”, gli sembrava del tutto ovvio che non lo fossero affatto. Questo perché, nella realtà, i membri del gruppo che aveva realmente visto avevano tutti un’aria stanca, vestivano con dei semplici pullover e il loro livello musicale era tutt’altro che “regale”.

And the Sultans,
Yes the Sultans play Creole.
And then the man, he steps right up to the microphone.
And says at last, just as the time bell rings, “
Goodnight, now it’s time to go home.”
And he makes it fast, with one more thing:”
We’re the Sultans, “
We are the Sultans of Swing.”

Concludendo, si conferma ancora una volta come spesso accade, che pezzi ascoltati mille volte, in realtà celino al loro interno dei “mini film”, che forse in molti casi non siamo riusciti a “vedere” (con l’immaginazione). Per tutti coloro che, invece, conoscevano già questa semplice storia, speriamo di aver aggiunto almeno qualche elemento nuovo che possa aver reso interessante la nostra personale rilettura.

About the author

Marco Restelli

Originario di Latina, ma trapiantato ormai stabilmente a Bruxelles. Collaboro con diversi siti musicali. Collezionista di dischi dai primi anni '80, ascolto praticamente ogni tipo di musica, distinguendo solo quella che mi emoziona da tutto il resto.
In progetto: l'attività di promoter di eventi live di artisti emergenti nel Benelux. Sono orgogliosamente cattolico, ma ritengo che la tolleranza sia alla base delle relazioni umane. Se dovessi salvare un solo disco, fra i miei 3500, sceglierei "Older" di George Michael. La mia più grande passione, oltre alla musica: la mia famiglia e i miei tre bambini.

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