In perfetto equilibrio fra musica e scienza, note e numeri, melodia e filosofia, Renato Caruso prosegue il concetto di “relatività musicale” che ha influenzato il suo percorso di artista e di studioso, alla ricerca dell’essenza delle cose. Una propensione all’approfondimento derivata dalla passione per il pianoforte e la chitarra, che suona fin da piccolissimo, e i grandi del passato come Galilei e Pitagora, che hanno intuito il legame fra la metrica dei numeri con il ritmo delle note.
Come un piccolo nerd, già da bambino era curioso degli studi di suo padre, insegnante di
filosofia e musicista amatoriale, e invece che giocare al pallone o ai supereroi, come tanti coetanei, scriveva a mano piccole cose di musica classica, “robetta leggera, che comunque mi teneva in esercizio e mi apriva la mente”.
Laureato in informatica musicale, ha suonato la chitarra con Ron, Alex Britti, Fabio Concato, Francesco De Gregori, si è appassionato alle sperimentazioni di John Cage e a vari generi musicali che lo hanno coinvolto emotivamente, come forme di espressioni primarie che arrivano all’anima.
Lei, pur frequentando artisti da hit parade, non ha mai ceduto alla tentazione di un pezzo pop
da sicuro successo, quelli che diventano tormentoni stagionali e visibilità sui media e sui social?
Componendo, ho provato a fare cose pop, ma non è il mio mondo. Non ho mai seguito le mode, ma il mio istinto, forse anche influenzato da una vena filosofica che è la mia compagna di viaggio, e da funk, jazz, bossa nova e classica, che sono i miei generi preferiti, tanto che ho inventato un nuovo genere musicale chiamato “fujabocla”, l’acronimo che mescola questi vari stili.
Cosa pensa della musica che oggi va per la maggiore? Trap, rap , indie e affini…
E’ un’evoluzione che rispecchia i nostri tempi. In fondo, la musica ha radici antiche, quando era poesia con una metrica. La faceva già Dante con i suoi endecasillabi, puro stile rap… Serenata rap, di Jovanotti, mi sembra bellissima. E mi piacciono i Maneskin, finalmente una band, gente che suona con il linguaggio del nostro tempo. La musica adesso è questa. Poi finirà la moda e ci saranno nuove frontiere, nuove poetiche e nuovi linguaggi, si tornerà ad altri generi più classici, nei corsi e ricorsi della storia.
Adesso, nel suo nuovo libro appena uscito, Tempo-Musica, lei parla ancora del rapporto fra musica e scienza, dimostrando il forte legame fra le due discipline.
Un legame che mi piace approfondire sempre più. Ne parlo ai vari corsi accademici che tengo in giro per l’Italia, e i miei studenti si appassionano a questi racconti come se i protagonisti fossero i nuovi eroi, e invece sono Pitagora, Galilei, Einstein, che avevano già capito questo legame.
Pitagora, per esempio, è conosciuto per il suo teorema, ma fu il primo a parlare di dissonanza e
assonanza, a capire che una nota è diversa dalle altre per le vibrazioni.
Lei sostiene il “Relativismo musicale”, una nuova teoria secondo cui la musica non è statica, ma è soggetta a interpretazioni e influenze personali, sia da parte di chi la crea che di chi l’ascolta.
I primi a parlare di questa relatività furono Galileo Galilei e suo padre Vincenzo. Quest’ultimo è stato uno dei più grandi teorici del ’600 sugli studi di acustica, il primo a capire che il contrappunto doveva essere superato, non più mille voci ma una sola, come era nella tradizione greca. E poi da lì si è arrivati all’opera. Il tempo e l’emozione svolgono un ruolo fondamentale nella percezione musicale, rendendo ogni esecuzione e ascolto qualcosa di unico e irripetibile.
Alla famiglia Galilei lei ha addirittura dedicato il suo ultimo disco, Thanks Galilei
E’ un omaggio di gratitudine ispirativa. Un album “solo guitar”, chitarra classica e acustica. Un disco di contaminazioni, difficile da classificare, forse emozionale, per guardarsi dentro. Come hanno detto anche grandi matematici, bisognerebbe essere soltanto più essenzialmente spirituali.
A 40 anni lei è un musicista, un filosofo, un informatico, uno scrittore: cosa sarà da grande?
Magari uno come Piero Angela, che aveva fatto il giornalista, poi il divulgatore e negli anni aveva scoperto la passione per la musica. Io magari, nel cammino inverso, nel mio futuro diventerò divulgatore. Di tutto quello che ho imparato e imparerò ancora.