Recensioni

Pineapple Thief – Give it back

Scritto da Carmelo Di Mauro

“Give it back” più che un semplice disco, è uno sguardo lanciato verso la sintesi del lavoro di una band in continuo movimento, il cui futuro è tutto da ascoltare

Da oltre 20 anni i Pineapple Thief sono una delle voci più significative del rock europeo, dall’accento e dall’estetica molto personale, per quanto spesso imbrigliati nelle definizioni utili a spiegare i trend del momento, come quando vennero definiti, circa una decina di anni fa, come una band “postrock”.
In realtà, nella loro esperienza musicale c’è molto di più, c’è una visione del rock meno ancorata agli standard del genere e più incline alla sperimentazione e alle sfide.
Ne è una dimostrazione il loro ultimo lavoro in studio intitolato “Give it back” un disco che è molto più di una sorta di best of, ma che al contrario è frutto del desiderio di rileggere con occhi e sensibilità nuove alcuni momenti di una carriera molto valida e piuttosto lunga, che li vede in scena dal 1999.
Il motivo scatenate di questa rielaborazione è spiegato dallo stesso Bruce Soord, voce e chitarra della band sin dalle origini, ed è legato all’arrivo di Gavin Harrison alla batteria nel 2016.
Di certo non trattato come una recluta nella band, a Gavin è stata data la possibilità di avviare il processo critico di rivisitazione e di riscrittura di alcuni brani più significativi del loro repertorio.
“Non appena ho sentito quello che Gavin stava facendo – racconta Bruce Soord – mi ha ispirato a rielaborare completamente i brani. Gavin ha suggerito di aggiungere nuove parti, tagliare qualcosa, inserire nuovi versi e io sono stato completamente d’accordo. È stato un modo anche di chiudere il cerchio sui testi di molte canzoni che sentivo essere rimaste troppo aperte. È stato molto divertente, anche se a volte è stato un po’ strano tornare indietro nel tempo”.
Del resto, Harrison, noto anche al pubblico italiano per le sue collaborazioni con Battiato, Finardi e Mannoia, è un musicista dalla grande esperienza, che ha militato nei “Porcupine Tree” e nei ricostituiti “King Crimson” con i quali si era già trovato di fronte la necessità di rileggere, studiare e interpretare un catalogo musicale di complessità e spessore rilevanti.
Il disco contiene 12 tracce tratte da 3 degli album più significativi della band, ovvero “Little man” (2006), “All the wars” (2012) e “Tightly unwound” (2008), ripensati, anzi riscritti dalla band per integrare le nuove parti di batteria di Harrison, giungere a nuovi arrangiamenti e prepararli alle esibizioni dal vivo dell’imminente tour con cui porteranno in giro per il mondo anche i brani del loro album del 2020 “Versions of the truth”.
Il disco si apre con “Wretched soul”, brano dalla grande intensità emotiva, con una melodia che passa con grande agilità dalla liricità del musical all’intensità di chitarre a tratti molto tirate e di una sessione ritmica che picchia a più non posso quando davvero serve.
Altra è l’atmosfera di “Dead in the water”, un brano che parte con un cantato etereo e con sonorità dai tratti sperimentali, per evolversi in una ballata dai toni serrati, in una altalena di ritmi in cui chitarre e batteria sono ancora protagonisti.
Molto radiofonico è poi l’intro di “Give it back”, il brano che dà il titolo alla raccolta, anche in questo caso sono le chitarre a dettare la linea con una intensità che lascia il passo solo alle parti cantate, sempre teatrali ed espressive.
Start your descent” si apre con arpeggi morbidi e con una melodia ricca di nostalgia senza scendere nel mellifluo, come i titoli di coda di un film romantico ben riuscito, dove la commozione è sincera perché ci si è riconosciuti in quelle tenerezze.
Di grande eleganza è anche il brano “Boxing day”, introdotto dalle note di un pianoforte che presto lascia spazio ad una melodia molto accattivante, forse il singolo che già al primo ascolto resta più impresso, ideale per una compilation da ascoltare in macchina durante un viaggio immerso nella calura estiva.
Il disco nel complesso è un ottimo compendio per conoscere meglio alcune delle produzioni migliori di una band dalla carriera lunga e piena di ottimi dischi, ma anche per cercare di cogliere le linee di possibile sviluppo del loro suono. I brani che qui si apprezzano in una versione rinnovata, hanno rivalutato la capacità della band di muoversi con agilità tra la costruzione sapiente di melodie, morbide e avvolgenti, e quella sferzata di carattere che traspare da ogni singolo.
Di pregio anche le soluzioni volute per la copertina del disco da un talento della grafica applicata alla musica, ovvero Carl Glover di “Aleph Studio”, già autore di iconiche copertine per “Blackfield”, il side project di Steven Wilson e Aviv Geffen, un concept che appare ispirato ad alcuni lavori di “Hipgnosis”, ma che rivela un gusto e un taglio molto personale.
“Give it back” più che un semplice disco, è uno sguardo lanciato verso la sintesi del lavoro di una band in continuo movimento, il cui futuro è tutto da ascoltare.

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Carmelo Di Mauro

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