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Omaggio a Pino Daniele

Scritto da Red

Vorrei Incontrarti per un’Ora- Breve Intervista Impossibile a Pino Daniele.

Lo incontro su una nuvola proprio sopra Agadir, in Marocco. Mi vede arrivare ma non smette di suonare. E’ seduto, completamente vestito di bianco. Barba e capelli neri lunghi, decisamente in forma. Riconosco immediatamente le note dell’arpeggio di “Mal di te” e rallento il passo, silenziosamente mi seggo anch’io. Continuando a suonare mi sorride e dice:

– <<Ti aspettavo. Ti piace qua?>>
– <<C’è una vista fantastica.. come l’hai trovato ‘sto posto?>>
– <<C’ero già stato in Marocco, ai tempi di “Medina”, è un posto incantato, anche se da qui… ogni posto è un po’ speciale, è una questione di prospettiva.>>

L’emozione mi ha preso e solo adesso ripenso alle sue prime parole “Ti aspettavo”. E perché mai? Chi l’aveva avvertito? Metto da parte questo inquietante interrogativo e comincio subito con una domanda tecnica:

<<Hai rispolverato la “Les Paul”? Ti confesso che è la mia preferita.>>
– <<Si, è la chitarra che si intona meglio coi capelli neri (sorride) e dei tour più belli.>>
– <<Certo! Io ero alla Mostra d’Oltremare nell’84, il mio primo concerto in assoluto, avevo 14 anni e non vidi quasi niente (risate).>>
– <<Eh, e chi so scorda, un casino allucinante, bellissimo. Anche se ci furono un po’ di problemi tecnici..>>
– <<Ma il mio grande rimpianto è non esserci stato a piazza Plebiscito, non ero tra i 200.000…>>
– <<Forse è stato buono, c’è chi è rimasto traumatizzato ed a un concerto non ci è andato più. Quel giorno il vero miracolo di San Gennaro fu che non si fece male nessuno.>>

Naturalmente Pino non sa che io piansi tutta la sera perché nessuno mi ci volle portare.. e non immagina che fu proprio il concerto alla Mostra a farmi capire che da “grande” volevo suonare.
Adesso sta suonando con commovente leggerezza una ritmica funky, molto simile a quella della scena dell’autostop in “Ricomincio da tre”, e improvvisamente sparisce in me ogni minima possibilità di rimanere concentrato e di ricordare le domande che avevo preparato; tutto ciò che vorrei è avere qui il mio sassofono e realizzare il sogno dei sogni: suonare con lui. Non voglio interromperlo, quasi sussurro:
– <<Ci sono canzoni nascoste da qualche parte, chessò, in un cassetto, in un armadio.. magari a casa delle zie o in qualche sala prove? Nastri inediti, spunti, idee, spartiti, melodie di quel periodo che potrebbero non esser mai trovate e che ci terresti a rendere pubbliche?>>
-<<Ah! Vuò fa’ o’ scoop (risate) ma tu non sei neanche giornalista.. faje o’ musicista o no? (risate)>>
-<<Si si, certo, ma innanzitutto sono un fan collezionista… e dunque… sai com’è… c’è un bel po’ di gente, diciamo un popolo intero va’, pronto ad emozionarsi ancora per un brano del tuo periodo migliore..>>
-<<E quale sarebbe il mio periodo migliore? Per me non c’è. Ci sono periodi molto diversi tra loro: c’è un periodo in cui io non ero nessuno ed avevo una gran voglia di raccontare questa città e quella generazione. Poi c’è stato un periodo in cui mi interessava mischiare sempre di più la nostra tradizione con la musica nera, confrontandomi con i più grandi d’Oltreoceano. Poi un momento in cui la priorità era soprattutto sperimentare, ricercare un linguaggio sempre nuovo, forme più raffinate di contaminazione. C’è stata, è vero, una fase artistica in cui ho inseguito il successo, ma non mi sono mai forzato. Quando vivi un nuovo amore è normale che l’amore sia il fulcro anche della tua vita artistica. Ma fino alla fine non ho mai smesso di sperimentare. Spero che questo mi venga riconosciuto. Anzi, nun me ne fotte proprio. Come cantai in quella canzone “…c’è chi capirà”.>>
-<<”Sarà” da “Ferry Boat”…>>
-<<Azzo, preparatissimo! (risate)>>

La mano sinistra scivola sul manico, la destra chiama note questa volta sconosciute: è una melodia di lancinante bellezza su cui è impresso certamente il suo marchio di fabbrica, ma non riesco a ricordarla.. giurerei di non averla mai sentita. Pino doppia la linea melodica, il meraviglioso, rotondo, suadente suono della Gibson Les Paul Custom nera, con la sua inimitabile voce: è il timbro vocale che conosco meglio, quello di inizio anni ‘80, quello immortalato in centinaia di registrazioni da noi fedeli appassionati, fortunatissimi spettatori di indimenticabili live, armati di registratori e audiocassette, accalcati nelle prime file di stadi, teatri, palasport. Ormai la mia attenzione è tutta sulla musica che sta suonando in questo momento, sono totalmente estasiato e la mia unica preoccupazione è cercare di memorizzare una parte, sia pur minima, delle note, degli intervalli, dell’armonia che sto ascoltando. Mi prendo la testa tra le mani, premo gli indici sulle tempie, cerco di focalizzare al massimo la mia attenzione su questo suono che mi avvolge. Ripeto a me stesso che devo, assolutamente devo.. ricordarla e suonarla col sax appena mi sarà possibile, così da imprimerla definitivamente nella mia memoria. Per poi scriverla, tramandarla, renderla immortale come tutta l’opera di Pino. Ma è proprio in quell’istante che la voce di Rosa si sovrappone al suono della Gibson… <<Amore, svegliati, è tardi.. t’ho portato il caffè>>.

Scritto da Giuseppe Colucci

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