Recensioni

Paolo Nutini – Last Night in the Bittersweet

Scritto da Marco Restelli

Bentornato a un artista che sinceramente ci è molto mancato, per troppo tempo

Trovo che la carriera artistica di Paolo Nutini sia decisamente interessante. Nel 2006, il suo esordio con l’album These streets mise tutti d’accordo, pubblico e critica, sul talento di questo ragazzo italo scozzese che, pur non inventando nulla di nuovo, stupì per la qualità del suo pop elettro acustico, pieno di melodie a presa diretta. Già il disco successivo Sunny side up, pubblicato dopo tre anni, iniziò a far storcere il naso a molti, visto che di fatto conteneva una sola canzone (la splendida Candy) riconducibile allo stile precedente, mentre per il resto risultava di non facilissimo ascolto. Nutini attese poi un lustro per uscire di nuovo allo scoperto nel 2014, stavolta in maniera più convincente con Caustic love ma continuò a mostrare un approccio più propenso alla sperimentazione che non alla concessione di hit da classifica.
Dopo di che il nulla. Sono passati addirittura otto anni, infatti, per vederlo riapparire un po’ a sorpresa nei nostri radar con questo suo nuovo lavoro intitolato Last night in the bittersweet. Si tratta del suo album più maturo che rappresenta un po’ una sintesi di quanto di buono già evidenziato nel passato, senza tuttavia voler regalare “alla piazza” quello che da sempre gli chiede, vale a dire il seguito del succitato These streets. Intanto i nuovi brani sono numericamente significativi (sedici), tant’è che in vinile l’album è doppio, ma nonostante ciò l’ascolto resta piacevole dall’inizio alla fine con rari momenti di appannamento.
In questa cascata di brani, dovendo scegliere i più significativi partirei da Through the echoes, ballata acustica che parla di un amore passionale nella quale Paolo Nutini ricorda a tutti la bellezza della sua voce unica, tanto calda e dolce quanto, nel contempo, ruvida. Acid eyes ha più ritmo, e si carica progressiva sempre più di una piacevole carica energetica. Quanto ad energia non è certo priva anche Desperation, uptempo che sembra uscita da un disco degli Strokes, ma con un finale new wave alla Inhaler. Julianne è una carezza al pianoforte che fa bene al cuore, mentre Abigail è un folk di altri tempi alla Johnny Cash 2.0 che spiazza per la sua semplicità. Children of the stars è la mia canzone che personalmente credo meriti la corona di regina del disco.
Volendo esemplificare, se Nutini fosse Prince questo album sarebbe il suo Sign of the times e se fosse Stevie Wonder sarebbe il suo Songs in the key of life. In altre parole un lavoro da “tutte le carte sul tavolo”, senza doversi limitare a uno stile e senza doversi privare di sperimentare con gusto e talento. Un bell’otto e mezzo pieno insomma, e un ben tornato a un artista che sinceramente ci è molto mancato, per troppo tempo.

About the author

Marco Restelli

Originario di Latina, ma trapiantato ormai stabilmente a Bruxelles. Collaboro con diversi siti musicali. Collezionista di dischi dai primi anni '80, ascolto praticamente ogni tipo di musica, distinguendo solo quella che mi emoziona da tutto il resto.
In progetto: l'attività di promoter di eventi live di artisti emergenti nel Benelux. Sono orgogliosamente cattolico, ma ritengo che la tolleranza sia alla base delle relazioni umane. Se dovessi salvare un solo disco, fra i miei 3500, sceglierei "Older" di George Michael. La mia più grande passione, oltre alla musica: la mia famiglia e i miei tre bambini.

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