Atmosfere algide provenienti da un futuro nemmeno troppo lontano ideato da Alessandro Zannier, in arte Ottodix, che con il suo ultimo disco ci narra le vicende della città di Arca, una colonia siderale multietnica alimentata da un sole artificiale.
Musicalmente il paragone con i Subsonica è sin troppo inflazionato considerando come il fulcro del suono sia un insieme di sequencer e sintetizzatori. C’è da dire che il tutto è ben confezionato e racchiuso in un contenitore claustrofobico che ci proietta nello spazio profondo accanto ai superstiti delle stazioni intergalattiche abbattute che fluiscono su Arca in cerca di un rifugio.
Il concept è chiaro ed il cantato dell’artista segue passo passo la storia come una sorta di copione fantascientifico, servendosi della musica come mezzo per aumentare o diminuire i Bpm a seconda dell’evento che viene descritto.
Le canzoni che compongono il disco possono essere quasi tutte inserite nel filone synth pop, se non fosse per la durata delle singole tracce allungate da logorroiche code strumentali che alla lunga possono rappresentare un minus inevitabile.
Arca non è un album che si può capire ed assimilare con ascolti fugaci e distratti, altrimenti quei piccoli particolari significativi come il pianoforte di Loris Sovernigo in “Eco” o il richiamo ai Kraftwerk in “Teche” andrebbero perduti nella mente offuscata di chi ascolta. Ma non mi sento di colpevolizzare nessuno, anche perché stiamo parlando di un’opera ostica dove il racconto è sempre minuzioso e dettagliato. La musica auspicava magari una maggiore varietà.
Ottodix – Arca
Arca non è un album che si può capire ed assimilare con ascolti fugaci e distratti, altrimenti quei piccoli particolari significativi andrebbero perduti nella mente offuscata di chi ascolta