Per i lettori di SOund36 una piacevole chiacchierata con il cantautore Nicolas Roncea
Nicolas ha origini franco-rumene, ma è cresciuto in Italia nella zona delle Langhe piemontesi, terra di dolci colline e buon vino. Sulla scena musicale da diversi anni, con le band Fuh e Monade Stanca ha aperto i concerti di numerosi gruppi del panorama italiano e internazionale come Giovanni Truppi, Come Cose, Artic Monkeys e The National. È stato strumentista di Carmelo Pipitone (Marta sui Tubi) nel tour dell’album Cornucopia e ha collaborato con i Verdena. Il suo primo disco da solista “Presente” è stato molto apprezzato da pubblico e addetti ai lavori, come anche il più recente EP “Acrobazie” che reca in copertina una foto del padre, artista circense negli anni settanta, nel momento del riscaldamento prima della performance.
Sei figlio di tre culture: francese, rumena e italiana. A quale ti senti più legato personalmente e in senso artistico?
Senza ombra di dubbio a quella italiana. Le mie origini sono franco-rumene, ma sono nato e cresciuto in Italia. Purtroppo non conosco e non ho mai avuto modo di approfondire la musica rumena, mentre per quel che concerne la musica francese sono legato a due artisti in particolare: Georges Brassens e Boris Vian. Ho avuto il piacere di fare uno spettacolo con un cantautore francese, uno scambio tra canzoni italiane e francesi grazie al quale ho approfondito Jacques Brel e Léo Ferré che conoscevo superficialmente.
Hai scelto sempre la lingua italiana per scrivere i tuoi testi? Per quali motivi principalmente?
In realtà la mia esperienza in italiano è piuttosto recente, ho pubblicato solo un album e un EP in lingua italiana mentre gli album precedenti sono in inglese. Sono cresciuto ascoltando la musica americana e britannica. È stato naturale per me comunicare in inglese quando mi sono approcciato alla scrittura di canzoni mie. Mi suonava familiare, più musicale. Non rinnego la mia esperienza precedente, ci sono delle canzoni alle quali sono particolarmente legato, ma sicuramente oggi preferisco scrivere in italiano per tante ragioni.
Qual è il tuo modo di comporre musica e da cosa ti senti maggiormente ispirato?
Spero di non risultare patetico, ma i momenti più creativi sono quelli in cui sto male, quando fa buio e il cielo è basso, quando vedo il mondo da uno spioncino. Nelle canzoni non mi lamento, più che altro analizzo, esploro e trovo soluzioni. Trovo sempre la soluzione nei testi che scrivo, purtroppo nella vita è più complicato. Non ho un metodo di scrittura consolidato: quando ho voglia e tempo di suonare imbraccio la chitarra e mi lascio andare. Spesso passano due ore e non succede niente. A volte invece esce uno spunto interessante che poi sviluppo fino a diventare una canzone. Ho scritto qualche brano al piano, pur non sapendolo suonare. Vorrei tanto studiare il pianoforte perché offre un sacco di soluzioni interessanti. Quando andrò in pensione, più o meno a 70 anni, mi metterò a studiare lo strumento. Per ora continuo a suonare il piano alla carlona. Tanto non mi sente nessuno.
Riprendendo il titolo di un brano e dell’EP uscito nel 2022 “Acrobazie”, quale da cantautore è la più grande acrobazia da compiere nel panorama musicale odierno?
Quella di continuare sempre e comunque a produrre, a scrivere, a esibirsi, se si ritiene che la propria musica sia degna e autentica, senza farsi scoraggiare e nemmeno influenzare dagli insuccessi, dall’apparente fallimento, da quello che è il mercato. Essere integri, non farsi tentare, non tradire se stessi. Spesso significa vivere di altro e suonare in quello che viene definito “tempo libero”, ma nel mio caso va bene così: non vivo di musica, ma vivo per la musica.
Ai concerti ti esibisci con diverse formazioni. Qual è la dimensione live che prediligi?
Dipende dalle situazioni. Suonare in full band è stimolante perché godi degli arrangiamenti, della potenza di più elementi, dei colori, di più voci insieme, però adoro la dimensione acustica, con il violoncello o in solo chitarra e voce. In questo contesto più intimo mi sento perfettamente a mio agio anche perché ormai sono un po’ di anni che vado in giro così. Non saprei scegliere quale prediligo tra i due spettacoli, ma quando c’è la possibilità mi piace suonare con altri. È bello sentire come altri musicisti interpretano con il proprio strumento un tuo brano, è bello creare un suono collettivo.