Recensioni Soundcheck

Nicolas Michaux / A’ la vie, à la mort

Scritto da Marco Restelli

Michaux, con questo LP d’esordio è partito col piede giusto. Da non perdere

C’è sempre una prima volta nella vita. Dopo aver scritto svariate recensioni di dischi in inglese e in italiano, doveva arrivare finalmente anche il momento di quello in francese. È un ulteriore piacere poi che, nel caso di specie, si tratti di Nicolas Michaux, un artista belga che vive nella mia stessa città: Bruxelles.
Il suo album d’esordio (dopo due album con gli Etè 67) s’intitola A’ la vie, à la mort e spazia nell’ambito di un mix di stili che vanno dal folk, al pop elettronico, con più di qualche venatura rock, sparsa qua e là. Innanzitutto va detto che la voce di questo giovane cantautore è decisamente intrigante, sensuale e, quando si fa più languida mi ricorda quelle, altrettanto splendide, dei francesi Raphael Haroche e Jean Luis Murat.
L’approccio musicale di base dei brani inizialmente era acustico, ma poi il produttore Julien Rauïs ha dato al materiale un gusto più ampio, spesso contaminando il tutto con altri suoni che lo rendono più personale, dilatando l’aspetto introspettivo. È il caso, ad esempio, di uno degli episodi più interessanti, ancorché meno immediati, dal titolo Les iles désertes che parla, in maniera se vogliamo un po’ cinica, della disillusione del sogno nel cassetto di molti: trovare un posto dove poter evadere da tutto e finalmente vivere la propria vita, il proprio amore, lontano dalla nostra società così “delirante”. “Le isole deserte non esistono più” appunto, afferma senza mezzi termini Nicolas e, a mio avviso, trovarsi di fronte a qualcuno che ce lo ricordi in maniera tanto poetica quanto drastica, trovo sia piacevolmente disarmante. Dal punto di vista musicale c’è da apprezzare il suo andamento ipnotico, sostenuto da una bass line coinvolgente e dai riff di chitarra elettrica che incorniciano il brano in chiusura.
In realtà gran parte del disco è molto più accessibile e melodico, a tratti radiofonico, come nel caso dell’apertura folk di Nouveau de part in cui canta parte in francese, parte in inglese (tra l’altro con un ottimo accento) e che si distingue per il suo testo passionale, proprio come quello di Un imposteur il cui ritornello dice “Tu hai fatto di me un impostore che non sta bene da nessuna parte se non in te”. Molto bella, a dire il vero, anche la dolceamara Si tu me laisses, mentre nei ricami elettrici di Part of no part si può udire l’eco dei Noir Desir di Le vent nu portera, quando ospitarono il plettro dorato di Manu Chao. Tutto l’album è comunque convincente e non esistono pezzi da scartare.
Il finale è dei più ispirati, con la ballata midtempo Etre deux (quasi tutta in inglese) che sembra uscita dagli anni 80, con quei suoni elettronici decisamente retrò e che conferma come Michaux, con questo LP d’esordio, sia partito col piede giusto. Sarà curioso seguirlo nella sua carriera che già si profila molto interessante e, perché no, ambiziosa, ma soprattutto potrebbe essere interessante andarlo a vedere dal vivo, in uno dei numerosi concerti che ha già pianificato su tutto lo stivale nel mese di maggio. Da non perdere.

About the author

Marco Restelli

Originario di Latina, ma trapiantato ormai stabilmente a Bruxelles. Collaboro con diversi siti musicali. Collezionista di dischi dai primi anni '80, ascolto praticamente ogni tipo di musica, distinguendo solo quella che mi emoziona da tutto il resto.
In progetto: l'attività di promoter di eventi live di artisti emergenti nel Benelux. Sono orgogliosamente cattolico, ma ritengo che la tolleranza sia alla base delle relazioni umane. Se dovessi salvare un solo disco, fra i miei 3500, sceglierei "Older" di George Michael. La mia più grande passione, oltre alla musica: la mia famiglia e i miei tre bambini.

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