Sono sincero: ho seguito i Nickelback con molto interesse fino al 2008, quando pubblicarono Dark Horse, disco dopo il quale avevo iniziato a intravedere alcuni segni di stanchezza nella band capitanata da Chad Kroeger. Chi li conosce sa che il loro punto di forza è sempre stato il giusto mix fra rock potente e melodie radiofoniche, così come la giusta dose di ballate memorabili e sferragliate elettriche. Ma ciò che a mio avviso mancava un po’ negli ultimi due episodi (usciti nel 2011 e nel 2014) erano forse quella zampata vincente o quel riff indovinato, che in qualche modo restano nella testa e che ti spingono a rimettere su il cd per successivi ascolti.
Con questo nuovo Feed the machine, invece, è un po’ come se il treno si fosse rimesso in carreggiata, ritrovando quella strada maestra che per i motivi succitati, sembrava smarrita. La formula è quella che ha dato fama mondiale al gruppo canadese e i pezzi interessanti, che saranno apprezzati dai fan passati e futuri, alla fine sono diversi.
Song on fire ad esempio potrebbe essere considerato già un instant classic – che richiama alla mente i loro migliori brani “morbidi” come Photograph e Far away (entrambe dallo splendido All the right reasons del 2005) – e insieme ad After the rain forma la coppia d’assi che era finalmente arrivato il momento di calare sul tavolo. Per quanto riguarda gli episodi più “muscolosi”, è la title track – che opportunamente apre il disco – a fungere da biglietto da visita per sancire il ritorno dei Nickelback ai livelli da molti auspicati. Il video tra l’altro, che vi lasciamo in fondo all’articolo, è molto avvincente. Altrettanto potrebbe dirsi per l’esplosiva The betrayal (act III) nella quale la versatile voce del citato Kroeger resta tanto ruvida quanto dolce, a secondo del momento “da pugno o carezza”, all’interno della traccia stessa. Le mie canzoni preferite, in ogni caso, sono la ballata Home, che ha un’apprezzabile vena acustica e Silent majority dal testo che potremmo definire, in qualche modo, politico:
So what if we all stand up?
What if we don’t give in?
What if we trade it all?
Complacency for a voice that won’t be ignored
How can we just give up?
How can we just give in?
What if the silent majority wasn’t silent anymore?
Tirando le somme Feed the machine rappresenta un nuovo inizio che lascia ben sperare per il futuro della band, soprattutto se i quattro moschettieri sapranno far evolvere il proprio sound, senza tuttavia smarrire quanto di buono fatto nella loro ormai quasi ventennale carriera.