Claudio Lodi di SOund36 ha incontrato Giancarlo Golzi del Museo Rosenbach, ecco di seguito la bella chiacchierata che ne è venuta fuori!
Nel 2012 siete tornati in studio per la registrazione di “Barbarica”. Cosa vi ha convinto a rimettervi in gioco con un nuovo album?
Dopo avere registrato “Zarathustra live in studio” avevamo del materiale interessante che poteva portare avanti il discorso con una certa coerenza stilistica. Esisteva un “concept” che amalgamava alcuni brani inediti ad altri già incisi in Exit (2000); era un’idea forte che ci piaceva per la sua attualità. Volevamo uscire dalla semplice riproposta di un cavallo di battaglia per raccontare il presente. Quando ci siamo accorti che i nuovi brani funzionavano e potevano arricchire un’esibizione live, abbiamo deciso di produrre “Barbarica”.
La scena Progressive Rock sta rivivendo una nuova stagione in italia. Tu credi che ci sarà ancora posto per l’Italia in questo panorama musicale o è solo un ricordo del passato che ritorna?
Il Progressive non ha un pubblico numeroso: ci sono gli appassionati che vissero direttamente la stagione degli anni’ 70 e gli archeologi che portano alla luce dischi passati inosservati ma i discografici seguaci di questo genere difficile da trasmettere in radio sono molto rari. Sembra che le case discografiche abbiano dimenticato che uno dei campioni di vendite di tutti i tempi è “The dark side of the moon” che ha un impianto e una tematica prog. Penso quindi che se c’è della grande musica promossa adeguatamente tutte le etichette svaniscono e il target diventa globale\pop.
Si racconta che Il Museo Rosenbach e l’album “Zarathustra” furono osteggiati per poi pero’ diventare uno dei capisaldi della musica italiana di quegli anni. Ci racconti cosa successe?
Quando uscì “Zarathustra” l’Italia attraversava un periodo difficile; anche la musica venne coinvolta nel duello politico. I Festival rock si svolgevano in un clima denso di ideologie; le canzoni spesso diventavano messaggi simbolici che andavano oltre le intenzioni dei loro autori. Il Museo Rosenbach è rimasto coinvolto in tutto questo; il richiamo a Nietzsche, la copertina nera, il busto di Mussolini, la parola “superuomo” furono immediatamente equivocati. Pochi lessero le note che avevamo messo all’interno dell’album. La RAI considerò il disco “orientato a destra”; le radio tacquero. Per il Museo fu difficile riequilibrare la sua immagine. Quando il disco venne celebrato dai giapponesi“Zarathustra” tornò in Italia sotto forma di Cd e cominciò ad essere ascoltato e valutato come una semplice proposta musicale.
Hai mai pensato di inserire nei Matia Bazar qualcosa che ricordasse il tuo passato musicale? inserire tempi e passaggi musicali che riportassero nelle orecchie degli ascoltatori i fasti della scena progressive Rock italiana?
Con i Matia Bazar, il rock che esisteva in noi, fu espresso con l’esperimento “Cavallo Bianco”; ci ispirammo ai Pink Floyd attingendo idee dal loro brano “The great gig in the sky”; sapevamo di avere una vocalist eccezionale in Antonella Ruggero e decidemmo di sfruttare le sue enormi doti al pari di Clare Torry. La trilogia iniziata con Berlino, Parigi, Londra (81), proseguita con Tango e con Aristrocratica (84) esprime il periodo artistico più avanguardistico dei Matia. Un triennio in cui la formazione ha lavorato essenzialmente per la ricerca, per un proprio piacere personale, costruendo un repertorio sonoro con soluzioni musicali lontane dal pop.
Museo Rosenbach come PFM, Le Orme, New Trolls sono stati dei gruppi italiani famosi fuori dall’Italia allo stesso livello di gruppi come Genesis, Yes. Dagli anni 80 in poi la situazione mutò profondamente portando fuori dal nostro paese veramente pochi artisti. Da cosa dipende tutto questo? da una mancanza di originalità o altro?
La musica italiana all’estero è soprattutto quella melodica. Gli altri paesi fanno fatica a considerare originale la nostra tradizione rock. Non credo che il Prog italiano abbia la stessa audience dei Genesis e degli Yes; penso che sia un fenomeno musicale di nicchia anche all’interno del rock europeo. Forse i nostri discografici non ci hanno creduto fino in fondo; hanno lanciato i gruppi per saggiare il mercato. Quando hanno visto che i risultati non erano così immediati come accade nel Pop hanno perso l’entusiasmo. Il Prog è stato insomma addolcito e spesso piegato alle esigenze di un sicuro ritorno economico.
Il 2014 vi vede molto attivi sia discograficamente, con un doppio live in uscita, che dal lato dei concerti, quali sono i piani per il Museo Rosenbach ora?
Pensare al concerto che faremo al Baja Prog Festival in Messico il 2 aprile; organizzare per i prossimi mesi alcune date in Italia e promuovere nel miglior modo possibile “Barbarica”. In altre parole: ora che siamo tornati in pista… balliamo!