Il tuo inizio di carriera comincia nei jazz club di Bologna, culla del jazz e di formidabili sassofonisti, in particolare al Chet Baker jazz club, puoi parlarci di quegli anni?
Sì , stiamo parlando dei primi anni 90 in cui Bologna si poteva veramente considerare come la capitale italiana del jazz grazie soprattutto alla presenza di Alberto Alberti, grande impresario e manager musicale che portava in città i più grandi musicisti d’oltreoceano. In quegli anni c’era un gran fermento: tanti bravi musicisti e numerosi locali in cui poter suonare. Il più importante era appunto il Chet Baker che è stato per molti anni un punto di riferimento fondamentale per tutti i musicisti bolognesi e non solo.
Nelle notti che passo in giro per fotografare, ho incontrato tantissimi musicisti, ma tu sei un artista atipico, schivo, riservato e dallo sguardo sornione, ma sul palco ti scateni, batti il tempo costantemente. Cosa cambia dentro di te?
Suonare penso che sia per tutti un’esperienza gratificante in cui emerge ciò che si è veramente dentro perciò mi fa piacere se riesco a trasmettere qualcosa di gioioso perché vuol dire che anch’io mi sto divertendo e che riesco a compensare così il mio carattere generalmente introverso
Nella vita di un musicista c’è sempre un mentore, un punto di riferimento. Cosa ci puoi dire in merito a questo?
Dovrei farti una lista veramente molto lunga perciò mi limiterò a nominare due giganti che ho avuto la fortuna di frequentare: Sal Nistico e Steve Grossmann che negli anni della mia formazione frequentavano assiduamente a Bologna (Steve vi ha anche abitato per parecchi anni)
Una tua particolarità è l’uso del sax baritono, tuo punto di forza. Puoi spiegarci con qualche parola, la differenza tra i tipi di sax e quanto incidono nell’andamento di un brano?
Sostanzialmente dal punto di vista tecnico tutti i sax sono identici, quello che cambia è il timbro e il registro per cui a seconda dell’atmosfera che si vuole riprodurre in un brano si può scegliere uno o l’altro. Personalmente mi sento più attratto dalle frequenze “gravi” del tenore e del baritono piuttosto che dal contralto o dal soprano
Ma ora vorrei parlare dell’uscita del tuo disco Time Lapse, un disco personale, arrangiato e composto da te, dove sei supportato da grandi musicisti nonché grandi amici. Come nasce questa idea e quale è stata la tua esigenza principale?
L’esigenza è stata quella di dare corpo ad una serie di composizioni che mi premeva mettere su disco e che ho avuto modo di suonare dal vivo col mio quartetto. Queste composizioni hanno periodi diversi di gestazione: alcune risalgono a molto tempo fa ed altre sono invece di recente scrittura, da qui il concetto di Time Lapse perché è come se sbocciassero contemporaneamente e rapidamente in un unico lavoro
Da anni svolgi una notevole attività concertistica che ti ha portato a viaggiare molto e a conoscere artisti di calibri diversi. Hai frequentato e continui tutt’ora a salire su palchi importanti, cosa si prova quando ti trovi lì sopra e davanti a tanto pubblico?
La stessa cosa che provavo da ragazzino quando suonavo per poche persone: emozione e anche un po’ di paura che si trasforma in adrenalina subito dopo.
Leggo che nel 2004 hai registrato insieme al leggendario Gianni Cazzola, registrando un ottimo disco, “Too close for comfort” che ha ottenuto grandi consensi da tutto il mondo jazz. Com’è lavorare con “l’indomabile?”
La sua energia è travolgente sia dal punto di vista musicale che umano. Apprezzo tantissimo il fatto che alla sua veneranda età abbia ancora così tanta voglia di fare musica. La sua è passione vera e riesce a trasmetterla ai tanti bravi giovani musicisti di cui spesso si circonda
Vorrei ritornare a parlare del tuo disco Time Lapse. Intanto grazie per aver messo delle mie foto vicino alla bellissima copertina super colorata del disco, cosa assai rara per i jazzisti. Ascoltandolo per bene ho ritrovato tutto te stesso, con la tua sensibilità e la tua esperienza sicuramente un disco diverso da tutti.
Non so se è diverso, sicuramente è personale nel senso che penso rappresenti in pieno la mia idea di composizione, e anche dal punto di vista esecutivo riflette ciò che sono, i miei riferimenti, le mie influenze, il mio modo di concepire la musica e di organizzare un gruppo
Recentemente ti ho visto suonare nella band di Vinicio Capossela, facendone parte integrante dal 2001, e mi chiedevo come fai ad essere così presente dentro quel mood completamente diverso da quello che fai.
Si presume che un musicista professionista sappia adattarsi a linguaggi diversi dal suo e magari anche arricchirsi proprio nel cercare di inserirsi al meglio in repertori normalmente lontani dai suoi. È proprio questo lo spirito con cui cerco di entrare nella musica di Capossela che è tra l’altro un mondo veramente poliedrico e variegato
Caro Michele siamo giunti alla fine del nostro breve incontro, sono molto felice di averti intervistato per SOund36 portando un tocco jazzistico un po’ diverso. Quali belle novità hai nel cassetto per il proseguo del 2023?
Oltre al mio normale lavoro di freelance si stanno allineando una serie di serate di presentazione del disco e questo mi fa molto piacere, tanto che mi è già venuta voglia di registrarne un altro!