Le parole non sempre sono necessarie, ci sono sensazioni che possono essere così intense solo se vissute tra le viscere, se non dette, non raccontate. Una volta che salgono su, dallo stomaco alla gola, la voce le profana, non rende loro giustizia, cadono nel vortice delle parole comuni, si disperdono, si confondono con le altre dette per sbaglio, sbadatamente. Se le lasci nelle viscere, non fanno che innalzarsi, si lasciano lavorare dagli acidi interni e ti esplodono in testa, e le ricorderai, solo così le ricorderai.
L’album di Michele Di Toro non andrebbe raccontato, qualsiasi cosa io scriverò adesso non riuscirà a descrivere le immagini che può evocare il suo ascolto, quindi prendetele per quello che sono, solo parole. Tutto quello che ha Michele è un pianoforte, non cerca di incantarti con effetti distorti, non utilizza computer, non ha cantanti ammiccanti dalla voce profonda, solo tasti neri e bianchi. Nera e bianca è la sua musica, ti porta via la testa verso paradisi sconosciuti e marciapiedi di periferia; proprio perché non limitati dalle parole, i brani di Di Toro permettono di lasciare libera l’immaginazione, sono un nutrimento per la mente e un’evasione indispensabile dalla concretezza quotidiana.
La grande risorsa di Michele è proprio il suo pianoforte, come se fosse un prolungamento della sua stessa persona, ci si fonde insieme diventando parte di quegli stessi tasti, ora accarezzati ora schiacciati con furore, non lascia scampo all’ascoltatore questo gioco perverso, non puoi distogliere l’attenzione una volta entrato nel vortice della melodia, e in realtà non hai nessuna voglia di farlo.
foto di Mario Sabatini
In ogni caso queste sono solo parole, bisogna lasciar parlare la musica, che sa bene come toccare le corde giuste.
di Serena Zavatta
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