Luca Loizzi racconta la realtà attraverso le sue “Canzoni quasi disperate” ricche di sonorità, ritmi e sentimenti diversi da ascoltare e riascoltare. Loizzi canta e spiega con semplicità, da buon professore, l’amore, la filosofia, gli ideali e lascia incantati gli ascoltatori in balia di valzer, ballate, folk, ritmi sudamericani e una buona dose di poesia. In ognuna delle dieci canzoni, in modo raffinato e divertente, il cantautore crea abilmente un’atmosfera diversa secondo i canoni del teatro-canzone. Abbiamo intervistato Luca Loizzi per conoscerlo meglio:
Come e quando sei passato da essere professore di lettere classiche a cantautore?
Non lo so, forse il passaggio non è mai avvenuto davvero. Sono un professore che canta e un cantautore che “professa”. La verità è che mi piace raccontare, mi piace inventare, mi piace condividere, mi piace soprattutto trasformare il tempo e renderlo l’occasione dell’incontro tra ciò che è e ciò che potrebbe essere, tra la realtà ed il possibile, tra ciò che viene detto e ciò che viene pensato. Come sarebbe triste se non ci fosse il coraggio di immaginare un’altrove in ogni istante della propria vita.
La tua musica spazia dal folk allo swing, vuoi parlarci un po’ di come lavori sulle tue canzoni e da quali artisti ti senti influenzato?
In realtà non sono io che lavoro sulle mie canzoni, sono loro che lavorano su di me! E spesso si comportano in modo così poco educato da svegliarmi all’improvviso di notte con un motivetto che non vuole lasciarmi sino a quando non decido di alzarmi dal letto e trascinarmi come una larva umana con gli occhi semichiusi e il corpo barcollante da una parete all’altra del corridoio, fino al tavolo del salotto. Lì prendo la chitarra, il moleskine e comincio a trascrivere le poche parole che la mia mente ottenebrata dal sonno tenta disperatamente di trattenere a sé. Perché le canzoni, le poesie, l’amore in fondo li si sogna ad occhi aperti o ad occhi chiusi, non fa differenza.
Ho amato e amo tantissimi artisti incredibilmente diversi fra loro, fanno parte di un mio pantheon personale. Come mi abbiano influenzato non saprei spiegarlo. De Gregori mi ha insegnato ad essere ermetico, da De Andrè ho imparato l’arte della narrazione, Gaber mi ha mostrato l’importanza dell’ironia e a Piero Ciampi devo la capacità di raccontarsi senza filtri. Che poi sia riuscito in tutto questo, lascio che siano gli altri a dirlo.
Che ruolo ha per te il live: un’occasione per avere un contatto più ravvicinato con il pubblico, oppure un modo per raccontarti anche attraverso la forma di teatro- canzone ?
Entrambe le cose. Più che il lavoro di creazione e poi di registrazione in studio, è il momento della condivisione quello che mi rende felice. Le parole sono sterili se non vengono condivise con gli altri. Solo condividendole esse possono generare, possono cioè dar vita a un qualcosa che fino a poco prima non esisteva, e cioè un sorriso, una lacrima, un timore, un entusiasmo. Le parole sono magiche e pericolose, autentiche e false, solitarie o socievoli, possono essere tutto e possono essere niente. Ma per essere, le parole devono vivere sulle bocche e sulle orecchie della gente, non c’è altro modo.
Ultima domanda: Ma i tuoi studenti vengono a sentire i tuoi concerti?
Ebbene si! Sono i miei fans più affezionati perché sanno che io per primo sono molto legato a loro. Quando insegni tutti i giorni in una classe, si crea un rapporto che è difficile spiegare. Se vai lì a “timbrare il cartellino”, tenendo la tua lezioncina sempre uguale a se stessa e poi torni a casa senza più pensarci, allora buon per te docente che dormi sonni tranquilli. Ma se invece ogni giorno ti rimetti in gioco non solo insegnando ma essendo consapevole di poter anche imparare dai tuoi alunni, allora loro capiscono che non sei lì per lo stipendio ma perché ami condividere quello che sai. E sei sicuro che non mancheranno al tuo prossimo concerto.
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