Nata nel periodo post-pandemico da un’idea dell’attore, Alessio Boni, che si è avvalso della collaborazione del drammaturgo Francesco Niccolini e dei registi Marcello Prayer e Roberto Aldorasi, con i quali aveva già condiviso le significative esperienze de Il Don Chisciotte di Miguel De Cervantes e de I duellanti, ispirato ad un racconto di Joseph Conrad, questa coraggiosa rilettura in atto unico pone al centro della scena una serie di scottanti interrogativi che, partendo dal ricordo di un passato mitico e cruento – la presa di Ilio da parte degli Achei – sembra voler soltanto lambire il fatiscente mondo contemporaneo, ma finisce per investirlo in pieno, con un epilogo imprevisto e travolgente.
Sullo sfondo di un impianto scenografico essenziale, ma suggestivo, anche perché giocato su una nient’affatto ridondante alternanza cromatica di luci e di ombre, si immagina che, trascorsi quasi tremila e cinquecento anni dagli eventi narrati dalla penna di Omero, uno Zeus smemorato, crapulone e depotenziato ai limiti del grottesco, convochi un’assemblea straordinaria di tutti gli dei per condividere con loro la propria frustrazione in merito alla perdita di importanza del pantheon omerico nel mondo contemporaneo, reo di aver ridotto i grandi e imperscrutabili numi tutelari dell’antichità, la cui parola era legge e destino, a una triste sequela di figurine monodimensionali che non occupano – come nel caso di Poseidone e Bacco – più spazio di quello previsto da una scatoletta di tonno o dall’etichetta su una bottiglia di vino.
In un crescendo che mescola con sagacia ironia e dramma, tensione e sorriso, nel pieno rispetto di una biplanarità tutta grecolatina, gli attori danno vita ad una imperdibile galleria di divinità “umane troppo umane”, litigiose e irriverenti, nonché inutilmente vanesie – come non menzionare, a tale proposito, i deliziosi siparietti tra Zeus e sua moglie Era, magistralmente interpretata da Antonella Attili? – che guardano con rimpianto ai fasti del loro passato mitico, quasi del tutto incuranti delle numerose tragedie umane che li hanno scanditi.
Particolarmente degno di nota è l’espediente scenico utilizzato per riprodurre il meccanismo narrativo deiflashback relativi alla guerra di Troia: i duelli fra gli eroi omerici vengono infatti riproposti utilizzando personaggi di figura che, mossi sulla scena dagli attori, mantengono le voci originali di questi ultimi.
Il perno attorno al quale si dipana l’intera narrazione è anch’esso un tema greco per eccellenza, lo phthonos ton theon, ovvero l’invidia degli dei, che qui assume connotati diversi dalla tradizionale e gelosa tutela delle prerogative divine da parte dei numi, per tramutarsi in un dolce e disperato anelito alla risemantizzazione di un’esistenza atemporale, dunque eterna, ma svuotata del suo primigenio significato. Si tratta della stessa sfida che, mutatis mutandis attanaglia la nostra disorientata contemporaneità e il coraggio di raccontarla senza sconti, sia pur cogliendo l’epos a pre-testo, merita un applauso a scena aperta.