Interviste

Lara Molino – 8 agosto 1956

Scritto da Annalisa Nicastro

Tutti abbiamo bisogno di bellezza, poesia e speranza

Ci sono storie che entrano nelle nostre vite e rimangono dentro di noi. Spesso sono storie di dolore, di tragedia, di perdita e di morte. La tragedia di Marcinelle è una di queste storie, che ha lasciato un segno profondo nella storia dell’Europa occidentale, e che ancora oggi continua a parlare di un tempo che non c’è più ma che è anche così maledettamente attuale. 
Erano le prime ore del mattino del 8 agosto 1956. Una giornata calda e afosa come tante altre. Il sole stava sorgendo all’orizzonte quando un incendio scoppiò nella miniera di carbone di Bois du Cazier, vicino alla città di Marcinelle. Le fiamme si propagarono rapidamente, bruciando tutto ciò che incontravano sul loro cammino. 262 minatori erano all’interno della miniera in quel momento. 262 vite che si sono perse in quella tragica giornata.
L’odore della morte si mescolava con il fumo e le  fiamme che fuoriuscivano dalla miniera. Le famiglie dei minatori si affollavano davanti all’ingresso della miniera, in attesa di notizie. Notizie che non arrivarono mai per molti di loro.
136 dei 262 minatori erano italiani, e 23 di queste venivano da Manoppello. Erano tutti migranti in cerca di lavoro in un paese straniero. Molte delle loro famiglie erano rimaste in Italia, ignare di ciò che stava accadendo. Le notizie arrivarono solo più tardi, portando con sé il dolore della perdita.
L’incidente di Marcinelle fece scalpore in tutta Europa occidentale, portando alla ribalta la questione della sicurezza sul lavoro nelle miniere e dei diritti dei lavoratori. I media si fecero eco della tragedia, dando voce alle famiglie dei minatori che erano rimasti senza i loro cari.
Oggi, la miniera di Bois du Cazier è diventata un museo e un memoriale dedicato alla tragedia di Marcinelle. Le macerie della miniera sono state conservate come una testimonianza di ciò che è accaduto quel giorno. Ma la vera testimonianza è quella che vive nei cuori delle famiglie dei minatori che sono morti in quella tragedia e noi, ancora oggi, abbiamo il dovere di non dimenticare. 
La tragedia di Marcinelle ci ricorda che il lavoro non dovrebbe mai essere una fonte di pericolo per la vita umana. Ci ricorda che le vite dei lavoratori sono preziose e che devono essere protette a ogni costo. E ci ricorda che, nonostante tutto, la solidarietà tra i popoli e tra i paesi è possibile e necessaria, perché solo insieme possiamo guardare al futuro con speranza.
Lara Molino ha scritto una canzone in omaggio alla memoria di chi non c’è più da quell’8 agosto.

Hai dedicato il tuo singolo 8 agosto 1956 alla tragedia di Marcinelle, una tragedia nel cuore dell’Europa che ha avuto echi fino a Manoppello, nel cuore del tuo Abruzzo. Ricordi la prima volta che hai sentito parlare di questa tragedia?
Da alcuni anni, a partire dal 2015, mi sono dedicata molto al mio repertorio in lingua abruzzese, a conoscere meglio luoghi, personaggi, fatti che riguardassero la mia terra d’Abruzzo. Così tra i vari libri letti mi è capitato tra le mani un libro scritto dal giornalista Paolo Di Stefano che parla di Marcinelle. Mi ha colpito talmente tanto che ho deciso di documentarmi meglio ed infine ho sentito la necessità di scrivere il mio brano “8 Agosto 1956”.

Perché ne hai voluto parlare?
Ho voluto ricordare tutte quelle giovani vittime, ricordare che è ingiusto morire così. Che la vita umana vale, è troppo preziosa e che i lavoratori, oltre il salario che gli è dovuto, devono essere protetti. 262 morti, tra cui 60 abruzzesi, anche questo mi ha molto colpito. 23 di questi giovani, caduti del lavoro, erano di Manoppello e per questo nell’ultima strofa della canzone ho voluto specificare “sono abruzzese, sono italiano”, immaginando un giovane pieno di sogni, bruciati tutti in quell’incendio.
Inoltre ho tenuto molto a parlare dei fatti accaduti al Bois du Cazier anche per i ragazzi e le ragazze che sanno poco o nulla di questi argomenti. Insegno musica in un’associazione, si chiama “Nonsolomusica”, grazie alla quale da anni incontro tanti bambini, tanti giovani. Mi piace potermi confrontare con loro non solo sulla musica, la tecnica, i brani da suonare, ma cercare di farli riflettere, trasmettere loro idee, valori a cui tengo. In questo modo si cresce e con loro cresco anche io.

Quanto è attuale ancora oggi la tragedia di Marcinelle?
Purtroppo la tragedia di Marcinelle è molto attuale. Ancora troppe morti bianche, tanti lavoratori si feriscono gravemente o addirittura perdono la vita nel luogo in cui lavorano, è gravissimo. Non c’è l’attenzione dovuta. Non si può, ancora oggi, morire perché si va a lavorare. Il lavoro è un diritto, il lavoro dà dignità, ma non bisogna dimenticare la sicurezza. Ogni giorno leggiamo sui giornali, veniamo a sapere dalla tv, queste notizie e a me tutto ciò mette addosso una grande tristezza e rabbia.

Hai scritto molte delle tue canzoni in dialetto abruzzese, 8 agosto 1956, invece hai deciso di
scriverla in italiano. Perché?
Ho scritto molti testi in vernacolo abruzzese, è vero, ma continuo a scrivere anche in italiano. “8 Agosto 1956” ho iniziato a comporla in lingua italiana ed ho continuato con molta convinzione perché desideravo che le parole fossero chiare per tutti, perché questo tema riguarda non solo noi abruzzesi, ma tutti. In questi giorni sto anche pensando ad una versione tutta in francese, chissà…

Hai scelto chitarra e fisarmonica come accompagnamento. E’ una cifra stilistica del tuo
stile?Quando nasce?
Nel 2017 è stato pubblicato il mio primo disco in dialetto abruzzese, “Fòrte e gendìle”, e gli strumenti scelti e usati per l’incisione, il violino, la chitarra, la fisarmonica, sono stati strumenti acustici che io adoro. Ho preferito la sobrietà, togliere anziché aggiungere, snellire tutto, badare all’essenzialità e sto cercando di continuare con questo sound che mi caratterizza.

La musica come atto di denuncia e di resistenza? Che ruolo hanno nella società i musicisti?
La musica, i musicisti, secondo me, in primis, servono a trasmettere emozioni. Poi però visto che la musica è un linguaggio così diretto, così adatto a tutti e a tutte le età, deve permettersi di raccontare anche fatti scomodi, di ricordare, di far smuovere le coscienze. Un musicista, un artista, deve sentirsi libero di esprimersi e raccontare ciò che più gli sta a cuore.
Oggi si tende molto a vendere dei prodotti, la cosiddetta musica commerciale. Deve esserci anche quella, ma forse noi cantautori, musicisti, dobbiamo riacquisire un ruolo che abbiamo perso, avere il coraggio di andare controcorrente, sia con la musica che nei testi, e parlare di argomenti importanti, denunciare le ingiustizie, se ci sono. Tutto questo senza dimenticare la poesia che per me è importantissima. Come hanno fatto i grandi Fabrizio De Andrè e Franco Battiato, sono riusciti a parlarci di storie vere, di realtà, con testi e musiche che ci fanno ancora sognare.

Hai scritto anche altre canzoni impegnate eticamente. Quali sono i temi che trovi a te affini?
Ho composto molte canzoni e non a caso alcune di esse parlano di disabilità, di emigrazione, della
condizione della donna. Il 1 aprile scorso è stato pubblicato un CD singolo dal titolo “Blu” che ho
composto per l’Associazione Angsa Abruzzo che parla di autismo. Blu racconta di un genitore che
ha appena ricevuto la diagnosi ed ha scoperto che il suo bambino è autistico. È una canzone realistica, ma è piena di speranza e sono convinta che ascoltarla è servita e servirà a tante persone, perché tutti abbiamo bisogno di bellezza, poesia e speranza.

About the author

Annalisa Nicastro

Mi riconosco molto nella definizione di “anarchica disciplinata” che qualcuno mi ha suggerito, un’anarchica disciplinata che crede nel valore delle parole. Credo, sempre e ancora, che un pezzetto di carta possa creare effettivamente un (nuovo) Mondo. Tra le esperienze lavorative che porterò sempre con me ci sono il mio lavoro di corrispondente per l’ANSA di Berlino e le mie collaborazioni con Leggere: Tutti e Ulisse di Alitalia.
Mi piacciono le piccole cose e le persone che fanno queste piccole cose con amore e passione. E in ultimo vorrei dire che mica sono matta, ma solo pazza. Pazza di gioia.

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