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La Tarantella tra la Puglia e Napoli

Scritto da Giulio Faillaci

Parte Prima

Taranto, tarantella, taranta, tarantola: queste parole sebbene indichino una città, una danza, un aracnide e quindi soggetti diversi, hanno etimologicamente una evidente radice comune. D’altra parte anche il più famoso antropologo italiano, Ernesto De Martino affermava nel 1961 “Tutto ciò che si può ragionevolmente dire dal punto di vista etimologico è la connessione di Taranta con Taranto”. Si può quindi ragionevolmente concludere che anche il nome di questa danza, la Tarantella, sia una filiazione diretta di Taranto. Inoltre se il Tarantismo e il suo corredo coreutico-musicale rimandano ai culti orgiastici e dionisiaci dell’antica Grecia, come ampiamente dimostrato dalla ricerca storico-antropologica, bisogna ricordare che Taranto, fra le città della Magna Grecia, fu quella che maggiormente subì influssi dionisiaci; tanto che Dyonisos era la divinità più importante di tutta la zona tarantina e, nel corso delle celebrazioni dedicate al dio, il popolo si abbandonava a sfrenate danze e ubriacature.
Per tanto si può ragionevolmente concludere che la danza, anzi le danze, denominate TARANTELLE derivino dal tarantismo pugliese ma sfrondate dei caratteri apotropaici, cioè di “musica risanatrice” propria dei riti coreutico-musicali salentini.
Infatti con il termine tarantella vengono indicate alcune danze e melodie dell’Italia meridionale caratterizzate da un ritmo veloce prevalentemente in 6/8 ma non solo.

In Puglia con la Pizzica, che è un particolare tipo di tarantella, questa forma musicale ha assunto, come accennavamo, caratteristiche terapeutiche contro il morso di un animale mitico la taranta o tarantola e la conseguente presunta “possessione” delle “tarantate”. In realtà come ampiamente dimostrato da Ernesto De Martino (cfr “La terra del rimorso”): “Il Tarantismo è in larga misura da interpretarsi come l’esorcismo coreutico-musicale dell’ EROS PRECLUSO” quindi un fenomeno che permetteva, in forme e modi socialmente accettati, condivisi e appoggiati dalla Comunità, di dar “sfogo” e visibilità ai traumi, alle frustrazioni, alle delusioni amorose, alla depressione per una vita di stenti dei tarantolati che, come sottolinea continuamente De Martino, appartenevano, tranne rare eccezioni, alla classe contadina tra le più povere e disagiate del Sud Italia.
I presunti morsi, reali o immaginati, di due ragni locali (Lycosa tarentula e Latrodectus) o di scorpioni e serpenti, sebbene a bassa tossicità, fornivano l’occasione per la richiesta del rito da parte del tarantato/a.
Ma accanto a questo particolare tipo di tarantella che recentemente ha assunto grande notorietà grazie alla manifestazione intitolata “Notte della taranta” nel paese pugliese di Melpignano, esistono o sono esistite altre tipologie di tarantelle profane, distribuite in tutte le regioni del Sud. In queste, come dicevamo, non vi sono quegli elementi apotropaici e mitici presenti nella danza salentina. Hanno un carattere ludico, ricreativo e sono caratterizzate, come nella Pizzica, da prevalente partecipazione femminile. Ciò non toglie che comunque rappresentino un momento liberatorio e di evasione per i partecipanti antichi e moderni. Basta osservare quello che accade ancora oggi in quei pochissimi, purtroppo, centri culturali che con feste popolari e concerti ancora danno spazio alla musica tradizionale del centro-sud. È tutto un volteggiare appassionato di donne che ballano Pizziche, Tarantelle, Tammurriate e Saltarelli con bravura ed evidente partecipazione emotiva.

Restando sempre in Puglia, nel Gargano è presente un particolare tipo di tarantella dall’andamento ritmico più lento, con una struttura armonica più complessa basata su cinque accordi in tonalità minore e con ritmo pari, denominata “alla mundanare (alla montanara). Personalmente ne conosco due versioni: quella proposta dalla stupenda voce di Carlo D’Angiò, in “Garofano d’ammore” “Ja vista a donnè, allu spunta’ du sole…” e quella più nota con l’attacco in levare che inizia con “ Sta donnì, comme de’ j’ fari pi ama’ sta donnì…” Il testo è un appassionato canto d’amore di un uomo che esalta le bellezze dell’amata e chiedendosi cosa sia meglio fare per conquistarla. Il canto veniva utilizzato anche come serenata da anziani cantori accompagnati da tamburello, chitarra battente, chitarra comune, violino, e, in alcuni casi, organetto. La canzone in realtà non è altro che un sonetto cantato nell’andamento ritmico prima accennato. Molto interessante e divertente è la versione di un musicista statunitense, Owayn Phyfe, rintracciabile in Internet.

About the author

Giulio Faillaci

Giulio Faillaci, laureato in Scienze dell’Educazione, nasce musicalmente a metà degli anni sessanta, in uno di quei complessini “beat” che gli adolescenti dell’epoca fondavano poco dopo aver imparato quattro accordi di chitarra. Quindi i successi dei Beatles, dei Rolling stones, dei gruppi italiani dei Nomadi, dell’Equipe 84 e altri, sono stati la sua prima la prima palestra musicale.
Negli anni 70 avviene l’incontro con la musica tradizionale del centro-sud d’Italia. Grazie all’insegnamento ricevuto dalle ricerche del maestro Roberto De Simone e dall’attività concertistica della Nuova Compagnia di Canto popolare, approfondisce la conoscenza di questo genere musicale mettendola in pratica con la costituzione di diversi gruppi musicali e componendo alcuni brani in “stile” popolare.
Alla fine del decennio frequenta per due anni le lezioni di chitarra classica del maestro Francesco La Vecchia.
All’inizio degli anni 80 si dedica alla ricerca sul campo, frequentando le feste popolari del Sud Italia, in particolare quelle dell’area vesuviana, e apprendendo le tecniche strumentali e canore della Tammurriata. Contemporaneamente ha un’intensa attività concertistica con vari gruppi di musica popolare. Scrive la sceneggiatura e le musiche della commedia musicale “Alla festa”, rappresentata al museo delle arti e tradizioni popolari di Roma e in vari teatri.
In seguito ha collaborato con gruppi teatrali napoletani scrivendo ed eseguendo le musiche della commedia “Simme venuti pe’ lu Carnuvale” rappresentata a Napoli al teatro S. Ferdinando e a quello della “Mostra d’oltre mare”.
Intense sono state le sue attività di didattica musicale: ha collaborato con il professore Gaetano Domenici dell’Università Roma 3, pubblicando un capitolo nel testo “la nuova valutazione nella scuola elementare” e due testi, uno per l’alunno e uno per l’insegnante, di indicazioni ed esercitazioni pratiche nel campo della valutazione degli apprendimenti (Educazione al suono e alla musica per le classi III, IV e V elementare. Ed. SEAM, 1999).
Per la Giunti Lisciani Ed. ha curato il cofanetto di “ Educazione Motoria – Percorsi didattici” con la registrazione di 4 audiocassette e stesura dell’opuscolo illustrativo.
Pr circa 4 anni ha collaborato con la rivista “La vita scolastica, Giunti Ed.” scrivendo gli articoli per l’educazione musicale nella scuola elementare.

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