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Ascanio Celestini con RUMBA al Teatro Carcano

Scritto da Giovanna Musolino

Ancora una volta Ascanio Celestini è riuscito con rara maestria a coniugare nel suo dramma poesia, ironia, denuncia

Ascanio Celestini-
RUMBA L’asino e il bue del presepe di San Francesco nel parcheggio del supermercato 
27 gennaio Milano – Teatro Carcano

Natale: l’enorme parcheggio di un supermercato, vuoto e desolato; ha preso il posto di un prato sconfinato, indecoroso, popolato da tossici. Scrutando con più attenzione quel posteggio si rivela popolato da una varia umanità. Ascanio Celestini sul palcoscenico del teatro Carcano, accompagnato dal maestro Gianluca Casadei,  sbircia dalla finestra e ci presenta un mondo ricco, inimmaginabile, doloroso, imprevisto; inanella, inarrestabile, storie che brulicano di personaggi dall’esistenza, apparentemente, poco attraente.
A cucire questi pezzi di vita, la narrazione delle vicende di San Francesco, il santo che da ricco scelse la povertà; narrazione che si svolge proprio in quel parcheggio sperduto, nella speranza che un pullman di pellegrini vi possa giungere, regalando qualche soldo ai due cantastorie.  E tra le stimmate, il presepe di Greccio, la regola francescana, l’incontro con il papa, ecco affacciarsi Giobbe, l’operaio della logistica che non sa leggere, ma esegue tutto a perfezione, che rabbocca il caffè del preposto della cooperativa col suo piscio  e muore dentro al bagno del magazzino ancor prima di averlo usato; poi c’è Morlupo, il fascista venuto dal paese a Roma per lavorare e il cui figlioletto muore per una malattia genetica. E ancora Lamine Hakimi, pestato a sangue per più giorni dagli agenti della polizia penitenziaria del carcere “Francesco Uccella” di Santa Maria Capua a Vetere, rinchiuso in isolamento: aveva 28 anni e disturbi mentali; chiederà insistentemente i suoi psicofarmaci; li ingerirà tutti per non risvegliarsi mai più.
E ci sono anche i derelitti e le disperate che riescono a imbarcarsi, dopo l’inferno dei campi libici, fatto di stupri, percosse, umiliazioni, violenze. Viaggi pieni della speranza degli adulti e della gioia dei bimbi ignari, che giocano felici. Il miraggio di una vita nuova, dignitosa che si infrange contro un’onda, che capovolge la barca e trasforma, ancora una volta, quei flutti in un “mare di carne”.  Corpi senza nome, che non sono vivi e non sono morti, che non si possono più abbracciare e che non si possono ancora piangere: “Bisogna ricordare il nome dei morti  per poterlo seppellire nel cuore dei vivi”.
Gli episodi raccontati si succedono rapidi, ogni personaggio è delineato, caratterizzato in maniera così dettagliata, che sembra quasi di conoscerlo da tempo. 
Ancora una volta Ascanio Celestini è riuscito con rara maestria a coniugare nel suo dramma poesia, ironia, denuncia.
“Quante stelle stanno in cielo e quanti morti stanno in mare? Tanti che non si possono contare…”

 

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Giovanna Musolino

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