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La Tarantella tra la Puglia e Napoli (Seconda Parte)

Scritto da Giulio Faillaci

La Tarantella napoletana NON ESISTE PIÚ

Un discorso a parte va fatto per la Tarantella Napoletana.
La tarantella assieme a spaghetti, pizza, chitarra e mandolini rientra nella standardizzata iconografia relativa alla città di Napoli. Nell’immaginario collettivo sia italiano che mondiale, TARANTELLA vuol dire NAPOLI. Eppure la “Tarantella napoletana” NON ESISTE PIÚ. Per “Tarantella napoletana” oramai, da più di un secolo, si intendono le versioni colte di Rossini o di Ottorino Respighi.
Oggi infatti, la danza tradizionale più diffusa in Campania, conosciuta e praticata anche negli ambienti cittadini più interessati alle tradizioni popolari, è la Tammurriata.
Occorre perciò affidarsi alle analisi storiche, antropologiche e musicali di un grande studioso delle tradizioni popolari campane come il maestro De Simone per approfondire e fare chiarezza.
“ Va chiarito subito che esiste tra Tammurriata e Tarantella una basilare differenza ritmica. La prima infatti presenta scansioni ritmiche prevalentemente binarie mentre la Tarantella oltre che avere un ritmo più animato, presenta figure ritmiche o costantemente ternarie o binarie alternate alle ternarie.
Per quel che riguarda poi la parte coreutica, ho potuto osservare che la Tammurriata si riferisce per lo più a balli articolati tra due persone in coppia…..la Tarantella invece, sembra riferirsi in primo luogo a un ballo mitico di una sola persona (l’andamento barcollante della cosiddetta “Vecchia del carnevale), la danza del napoletano “Pazzariello” o ancora la danza terapeutica dei tarantati che viene effettuata singolarmente”.
Inoltre De Simone ci ricorda che le vere tarantelle ancora vive, si riferiscono a danze processionali in occasione del Carnevale come a Montemarano dove possiamo notare un altro tipo di tarantella con un struttura ritmica complessa. Il ritmo di base e in quattro, ma il tamburello compone un disegno ritmico pieno di sincopi e controtempi. “Va detto-continua De Simone- che essa si presenta prevalentemente come danza corale. Infatti accompagna i balli processionali del Carnevale, guidati da un Pulcinella “Capoballo”
Sebbene quindi esistano in Campania svariati tipi di tarantelle (individuali, di coppia o processionali), la Tarantella napoletana, come dicevamo, NON ESISTE PIÚ.
Per ritrovarne le tracce dobbiamo rifarci alla documentazione storica.
La Tarantella Napoletana, prima di essere fagocitata e trasformata dalla musica colta in lezioso intrattenimento per le corti o i salotti borghesi, presentava delle caratteristiche ben precise:
1) La strumentazione conferiva una predominanza agli strumenti a corda e percussione come il CALASCIONE, un liuto a manico lungo con tre corde e il TAMBURELLO. Ma inseriva anche strumenti popolari tipici della zona come il PUTIPÚ (tamburo a frizione), lo SCETAVAIASSE (bastone dentato con sonagli metallici strofinato da un bastoncino) e il SISCARIELLO (flautino singolo o doppio). Gli ultimi tre erano e sono utilizzati, in alcune zone, anche per la Tammurriata tradizionale.
2) La gestualità e le movenze sono cariche di un esplicito erotismo e la documentazione storica riferisce di tarantelle notturne nella notte di S. Giovanni, sulla spiaggia di Chiaia, dove ballerini di ambo i sessi si denudavano danzando fino all’alba. Tale usanza venne osteggiata e poi abolita dai viceré spagnoli.
3) Le origini: secondo il noto etnomusicologo Carpitella “La tarantella a tutti nota costituisce una derivazione profana” di quella pugliese, sfrondata dai significati mitici, simbolici e anche religiosi” (Vedi, nel Tarantismo, le invocazioni a S. Paolo e la sovrapposizione tra Santo e Taranta ampiamente documentata da De Martino). Anche R. De Simone dichiara che “Si può affermare che, all’inizio, non è mai esistita differenza tra la danza pugliese e quella napoletana…Risulta chiaro che, esaurendosi il tarantismo in città e in provincia, i repertori musicali adoperati nella liturgia coreutica, confluirono in una nuova forma di danza profana, e vennero rifunzionalizzati, perdendo mano a mano tutte le più antiche connotazioni stilistiche”. Infatti basta ascoltare una Pizzica e poi “Cicerenella” e “ O Guarracino” per notare le differenze ritmiche (Tempi pari per l’una, tempi dispari per le seconde) e le differenze armoniche (Struttura di cinque accordi per le tarantelle accennate e generalmente di soli due per le Pizziche).
Inoltre occorre ricordare che il Tarantismo fu un fenomeno diffuso anche nel Napoletano e in altre zone del sud Italia come attestato dalle testimonianze dell’illustre medico partenopeo Niccolò Cirillo nel 1721, da Stefano Storace nel 1753 e dal disegno di Willem Schellinks del 1664 che ritrae una tarantolata nei paraggi di Napoli e infine da un ex voto di un tarantolato conservato nel Santuario della Madonna dell’Arco. Tutto ciò rinforza la tesi che vi sia stata una filiazione diretta dalla Tarantella pugliese alla Tarantella napoletana che, comunque, assunse connotati specifici, sia nella componente strumentale che in quella gestuale e canora.
4) La presenza femminile, come nella Pizzica, è assolutamente prevalente anche nella Tarantella napoletana che, se non esclude la presenza di coppie miste, riserva un ruolo principale alle donne.
Ciò appare ancora più evidente nella TARANTELLA SEMPLICE e in quella CUMPRICATA.
Di queste due tarantelle ce ne dà ampia documentazione il medico e antropologo Abele De Blasio che agli inizi del secolo scorso ne fu testimone diretto in situazioni di semiclandestinità. Lo studioso fu fortemente impressionato dall’erotismo, spinto fino alla lascivia e all’oscenità, di tali danze.
La tarantella semplice era ballata solo da donne, e così la descrive il De Blasio all’inizio del secolo scorso: “Questa danza comincia per far ridere poi per stordire, e alla fine faceva spavento……E allora si slanciavano in mezzo al camerone, nudi, laidi corpi di donne che si abbandonavano, urlando, picchiandosi, strappandosi i capelli, rotolandosi per terra, tra le bestemmie e i ritornelli da taverna”.
La tarantella cumpricata era ballata in coppia e per assistervi, ci informa il De Blasio, “Bisognava sborsare gli spiccioli” ad una vecchia megera padrona della casa. “La vecchia diè di piglio ad un vecchio tamburo e principiò a sonare. Le ballerine si fornirono di nacchere e, affatto ignude, incominciarono a ballare imitando con i loro movimenti gli atti dell’amplesso…Si videro uscire in sala, anche ignudi, Rabiele e Giuvanniello che si avventarono su quelle due larve e se le trascinarono dietro ‘o sipario. Ciò che successe non oso descrivere.”
Roberto De Simone commenta così questa testimonianza: “Tralasciando ora la moralità e il descrittivismo di tale scrittore, ciò che emerge da tali documenti è il carattere di possessione violenta nella “tarantella semplice” e quello erotico in quella “complicata”. Ed erano questi i caratteri più autentici della vecchia danza napoletana”. Inoltre il maestro ci riferisce la testimonianza di un gruppo di “femminielli” (omosessuali) “Che assicuravano che tale danza si è fatta a Napoli fino all’ultimo dopoguerra. Raccontavano infatti, di queste tarantelle segrete, fatte alla periferia di Napoli, in sottoscala o palazzi semidistrutti da bombardamenti. Qui si riunivano nascostamente alcune donne e uomini e ballavano nudi alla presenza di soldati americani e truppe di colore. Ciò ancora nel 1944”.
In conclusione, si può ragionevolmente affermare che le origini della TARANTELLA sono da rintracciarsi nel TARANTISMO pugliese e nelle sue forme coreutiche e musicali. Ma la sua diffusione e sopravvivenza in altre zone del Sud e avvenuta quando la danza si è “liberata” dei significati rituali e religiosi salentini, assumendo i contorni ludici di una danza PER LE FESTE e altri momenti RICREATIVI
A ben riflettere, anche la PIZZICA, oggi, non e più la danza e la musica delle TARANTOLATE. Ma la danza di quelle migliaia di giovani che, nella notte di Melpignano, nei concerti e nei corsi di danze popolari in varie parti d’Italia, la danzano in modo ludico, ricreativo, associativo. Semplicemente perché è bello e appagante danzare e suonare insieme.

Per la stesura di questo articolo mi sono avvalso della consultazione dei seguenti testi:
-La terra del rimorso, di Ernesto De Martino, Il Saggiatore
-Canti e tradizioni popolari in Campania di Roberto De Simone, Lato side 19
-La Tarantella, di Armida e Barbara Costa, Tascabili economici Newton
-Il tarantismo mediterraneo, di Vincenzo Santoro, ItinerArti edizioni

*Tarantella del Gargano/Tarantella o re re/Cicerenella/Michelemmà/Montemaranese.

About the author

Giulio Faillaci

Giulio Faillaci, laureato in Scienze dell’Educazione, nasce musicalmente a metà degli anni sessanta, in uno di quei complessini “beat” che gli adolescenti dell’epoca fondavano poco dopo aver imparato quattro accordi di chitarra. Quindi i successi dei Beatles, dei Rolling stones, dei gruppi italiani dei Nomadi, dell’Equipe 84 e altri, sono stati la sua prima la prima palestra musicale.
Negli anni 70 avviene l’incontro con la musica tradizionale del centro-sud d’Italia. Grazie all’insegnamento ricevuto dalle ricerche del maestro Roberto De Simone e dall’attività concertistica della Nuova Compagnia di Canto popolare, approfondisce la conoscenza di questo genere musicale mettendola in pratica con la costituzione di diversi gruppi musicali e componendo alcuni brani in “stile” popolare.
Alla fine del decennio frequenta per due anni le lezioni di chitarra classica del maestro Francesco La Vecchia.
All’inizio degli anni 80 si dedica alla ricerca sul campo, frequentando le feste popolari del Sud Italia, in particolare quelle dell’area vesuviana, e apprendendo le tecniche strumentali e canore della Tammurriata. Contemporaneamente ha un’intensa attività concertistica con vari gruppi di musica popolare. Scrive la sceneggiatura e le musiche della commedia musicale “Alla festa”, rappresentata al museo delle arti e tradizioni popolari di Roma e in vari teatri.
In seguito ha collaborato con gruppi teatrali napoletani scrivendo ed eseguendo le musiche della commedia “Simme venuti pe’ lu Carnuvale” rappresentata a Napoli al teatro S. Ferdinando e a quello della “Mostra d’oltre mare”.
Intense sono state le sue attività di didattica musicale: ha collaborato con il professore Gaetano Domenici dell’Università Roma 3, pubblicando un capitolo nel testo “la nuova valutazione nella scuola elementare” e due testi, uno per l’alunno e uno per l’insegnante, di indicazioni ed esercitazioni pratiche nel campo della valutazione degli apprendimenti (Educazione al suono e alla musica per le classi III, IV e V elementare. Ed. SEAM, 1999).
Per la Giunti Lisciani Ed. ha curato il cofanetto di “ Educazione Motoria – Percorsi didattici” con la registrazione di 4 audiocassette e stesura dell’opuscolo illustrativo.
Pr circa 4 anni ha collaborato con la rivista “La vita scolastica, Giunti Ed.” scrivendo gli articoli per l’educazione musicale nella scuola elementare.

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