Il poeta è una sorta di alchimista che, plasmando le parole, crea emozioni, induce suggestioni, provoca riflessioni.
La poesia vive di immediatezza, si nutre di ispirazione, attinge alla musicalità: come una folgorazione scardina impalcature e si imprime nella mente di chi legge.
Le liriche celebrano sentimenti come l’eterno dissidio fra odio e amore, l’angoscia dinanzi al tempo che fugge inesorabilmente, l’infelicità connaturata alla condizione umana. I versi cantano anche la guerra, ora magnificando l’eroismo di chi si immola per la patria, ora denunciando le atrocità e la devastazione che ogni conflitto porta con sé.
Nel VII secolo a.C. il poeta greco Tirteo afferma che: “Giacere morto è bello, quando un prode lotta/per la sua patria e cade in prima fila”, ma all’esaltazione dell’onore della battaglia segue la visione del triste destino dei profughi: “Dovunque giunga l’esule sarà come un nemico/vittima del bisogno e dell’odiosa miseria”.
L’efferatezza della guerra trova voce in alcuni dei massimi poeti del ‘900: Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo e Bertolt Brecht.
Ungaretti in San Martino del Carso dipinge, con scarna essenzialità, un paese spettrale e un cuore straziato, su cui la morte trionfante ha piantato il suo vessillo:
Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
È il mio cuore
il paese più straziato
Quasimodo, rievocando il bombardamento che distrusse Milano durante la seconda guerra mondiale, compone Milano, agosto 1943 pervasa da cupa desolazione e sgomento profondo:
Invano cerchi tra la polvere,
povera mano, la città è morta.
È morta: s’è udito l’ultimo rombo
sul cuore del Naviglio: e l’usignolo
è caduto dall’antenna, alta sul convento,
dove cantava prima del tramonto.
Non scavate pozzi nei cortili:
i vivi non hanno più sete.
Non toccate i morti, così rossi, così gonfi:
lasciateli nella terra delle loro case:
la città è morta, è morta
E i conflitti continuano a lacerare l’umanità con il solito macabro e raccapricciante copione. La guerra che verrà di Bertolt Brecht esprime con lucidità estrema il senso di ogni conflagrazione:
La guerra che verrà
Non è la prima.
Prima ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente faceva la fame.
Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente
Foto di copertina di Annette Jones