Il mondo dell’indie pop spagnolo sembra godere di un periodo di grande effervescenza, un risveglio figlio della crisi o forse degli ultimi refoli di un’opulenza di cartapesta. Esplosa la bolla, ecco che inizia lo sciabordio della nueva ola pronta a stupire ed ammaliare gli appassionati del mondo indie. Abbiamo scritto, infatti, appena qualche settimana fa a proposito dei Ligula e già il loro E.P. omonimo di debutto sembra storia rispetto ad alcune nuovissime uscite che, battezzate da internet, hanno trovato riscontri tra il pubblico più attento.
Tra queste vi è il debutto omonimo di Julio y Agosto, un collettivo, o meglio una piccola orchestra come amano definirsi, che fa dell’umorismo e della malinconia il tratto distintivo delle proprie composizioni e guarda con occhio molto attento alla tradizione melodica di casa. Il brano che apre il lavoro, dopo un breve Intro, si intitola Jorge Luis Enriquez ed è un ritratto per metà di scuola e per metà d’avanguardia, utilizzato per raccontare una storia di ordinaria alienazione. “Non ho un’opinione né un argomento, preferisco non parlare del tempo, mai più una partita intera di calcio, non so nulla di attualità…”, sono rime pronunciate con fiera disperazione che presto però vengono incalzate da melodie non solo inquiete e malinconiche, ma anche bizzarre e ironiche segnate dall’uso sorprendente e divertito di tromboni e violini.
Con gli stessi intenti narrativi nasce Heracio Enriquez, brano introdotto da una ricca salva di fiati che potrebbe ricordare una composizione per banda di paese pronta alla processione del Santo Patrono, se non fosse per un cantato che appare abituato a cimentarsi con la pregevole tradizione della canzone spagnola, quella più antica e nobile, su cui si innestano riporti di hip hop e addirittura una terza linea melodica. Ed Heracio si presenta così: “ciao sono Heracio, ho 24 anni, sono toro e nell’oroscopo cinese sono tigre di fuoco…mi hanno detto che fosse un incontro tra single, ma questo sembra uno studio di registrazione, con cavi, microfoni…”. Povero Heracio, subito canzonato dall’intera band.
C’è anche una ricca vena di art pop nelle loro composizioni e un atteggiamento da artisti girovaghi che fa molto vaudeville, mentre in altri gradevoli momenti del disco quali Que sueno e Situnoyo troviamo gustose ed irriverenti melodie degne di un cabaret d’altri tempi che avrebbe divertito anche Cochi e Renato.
Quest’anima “caciarona” e divertita è solo la cornice di un lavoro che contiene pregevoli esempi di composizioni ben congeniate e ben eseguite, segnate anche da un tratto più intimista che trova nelle melodie tradizionali un puntello imprescindibile. E così El baile, Estacion e Se va diventano mirabili esempi di come un’anima segnata da pene contemporanee possa trovare ristoro cantando la propria dolenza con un linguaggio musicale antico.
Julio y agosto, con questo lavoro di debutto, elaborano in maniera consapevole una tradizione che risuona di melodie antiche, rivestendole di forme nuove e più attuali, un’operazione che pochi anni fa riuscì perfettamente e con esiti ancor più pregevoli, ai portoghesi Deolinda con un album che tirava a lucido un genere, il fado, ancorato alle cupe interpretazioni di Amalia Rodriguez.
L’invito è quello di ascoltarli in un pigro pomeriggio di sole, perdendosi nei loro racconti sghembi e cangianti, per scoprire un modo di fare indie pop che, suonando insolitamente più mediterraneo che anglosassone, potrebbe persino sembrarci più familiare.
Julio Y Agosto
L’invito è quello di ascoltarli in un pigro pomeriggio di sole, perdendosi nei loro racconti sghembi e cangianti, per scoprire un modo di fare indie pop che, suonando insolitamente più mediterraneo che anglosassone, potrebbe persino sembrarci più familiare.