A chi mai potrebbe venire in mente di accostare i Pink Floyd a Nick Drake? Bizzarro, ardito, impensabile? Non devono esser stati di questo avviso i JoyCut, “un avamposto musicale e pionieristico”, il cui nome, per l’appunto, costituisce una sorta di crasi fra la canzone Joey di Nick Drake e The Final Cut dei Pink Floyd.
Un omaggio, sicuramente, ad artisti di elevatissima caratura, ma, probabilmente, anche un intento programmatico, una volontà di coniugare l’emozionalità con la ricerca e la sperimentazione sonora, scardinando quegli angusti confini di genere, che mai appartengono al genio artistico.
Sulla scena da quasi venti anni, i JoyCut (Pasquale Pezzillo, Gaël Califano e Giannicola Maccarinelli) giungono al quarto album, la cui gestazione si è protratta per ben nove anni. Nove anni pregni di impegni e soddisfazioni: concerti in giro per il mondo, riconoscimenti internazionali, l’allestimento di Komorebi, opera in sei atti portata in scena al Teatro alle Tese all’interno della 61ª Biennale di Venezia, la partecipazione al Meltdown Festival di Londra, invitati personalmente da Robert Smith, direttore artistico della 25ª edizione del festival.
The Blue Wave è un disco denso, intenso: tredici brani per quasi ottanta minuti di musica. L’attenzione, l’amore, l’impegno, la cura verso questioni vitali, legate alla sopravvivenza stessa del genere umano hanno contrassegnato da sempre l’attività dei JoyCut: la confezione dell’album, ancora una volta, è stata realizzata in modo più che mai sostenibile ed ecologico.
Un attivismo non di superficie, sbandierato sui social, ma reale, fattivo, che si traduce in The Blue Wave nel «Tentativo, inedito finora per noi, di de-scrivere in musica l’urlo di questo tempo e la voce di quei mondi che solo i più vulnerabili sono capaci di sognare”.
Due batterie (una elettronica, l’altra di matrice tribale) e una postazione elettronica. Prevalgono i pezzi strumentali, ma sono presenti anche brani cantati (Ungaretti, Lisantrope, Plato/Shirakaba). Ritmi e melodie giocano e si danno manforte, esplorando e creando un paesaggio sonoro di forte impatto evocativo.
Come l’onda richiamata dal titolo il suono di questo album avvolge, circonda, travolge.
Il pianeta che langue sotto i colpi mortali inferti dall’individuo, la natura vilipesa e agonizzante, l’impronta dell’essere umano sempre più aggressivo e inarrestabile: animano e si agitano all’interno del disco questi temi, suggeriti dai titoli (Antropocene, Ungaretti, Siberia, The Plastic Whale, Darwin), veicolati e concretizzati dalla musica. Quasi a costituire un perfetto intreccio di trama e ordito i ritmi pulsanti e martellanti delle percussioni sembrano punteggiare e indicare la via al “ricamo” elettronico (The first song, SAUN, Blu Tokyo). In altri pezzi, invece, è la delicatezza velata di malinconia a prevalere (November 13, The plastic Whale).
Come nella grande onda di Kanagawa di Hokusai, questi brani narrano e dipingono uno scenario solenne e meraviglioso, seducente e fatale.
The Blue Wave è un inno all’amore universale (Believe in Love Unity); è un canto di dolore; è un inno alla speranza: come nell’haiku di Kobayashi Issa
Mondo di sofferenza:
eppure i ciliegi
sono in fiore.
https://www.facebook.com/JoyCutOfficial
https://www.facebook.com/abuzzsupreme